Due giorni a Bangkok

Creato il 01 aprile 2015 da Patrickc

I tre luoghi, o momenti, più belli in una città che non ho amato subito. Sono oasi di quiete.

Nelle vecchie fotografie di Bangkok si vedono viali, filari di alberi, una pianificazione urbanistica meditata e ariosa. C’erano canali – klong – dappertutto. Poi in una fase imprecisata dell’Ottocento, i cinesi si sono messi a costruire quartieri commerciali densamente abitati [..] “Con quaranta gradi di media forse potevano inventarsi qualcosa di meglio che tirar su quell’inferno di cemento da quattro soldi, vetro e acciaio, no?” (Lawrence Osborne, Bangkok)

Bangkok non è stato un’amore a prima vista. Ma è stato un incontro emozionante, frustrante, inquietante che ha coinvolto tutti i miei sensi. Non è una città che si dimentica facilmente. E’ una città rovente, la cui umidità odora del gas di scarico di un traffico caotico: il primo impatto è ostile. Poi fai due passi o prendi una barca e scopri e che è solo uno dei suoi volti. E’ una città dove giri un angolo e ti trovi altrove: un altro tempo, un altro luogo. E’ una città che ha inaspettati spazi di serenità, pace, e sono i luoghi che ho amato di più. Ma Bangkok suggerisce continuamente l’idea che vivendoci potresti perderti, anche senza infilarti per i vicoli di Nana. “E’ una città che ti mette alla prova”, mi ha scritto Cabiria quando, una volta tornato, cercavo di mettere ordine fra i miei pensieri. E forse mi ha svelato la chiave per capirla.

Il maledetto traffico di Bangkok (2014)

1. Lungo il fiume, fino a Wat Phra Kaew, Wat Pho e  Wat Arun

E’ da qui che comincia chi arriva a Bangkok e forse non c’è modo migliore per avere una visione d’insieme della città. Lasciamo il nostro albergo a Silom, prendiamo lo Skytrain per un paio di fermate e quindi una barca sul fiume Chao Phraya (seguiamo un po’ questo itinerario). E la città cambia. Sul fiume l’orizzonte si apre improvvisamente, libero dalle spire delle sopralevate e dei grattacieli. Ci si stipa sulla barca pubblica ‘orange flag’, e si attraversa il fiume fra zaffate di gasolio e marciume, e con l’acqua torbida che sembra sempre sul punto di tracimare dentro la barca. Eppure mi sento improvvisamente sereno: il panorama che si muove lentamente mi incuriosisce e rilassa, la brezza mi solleva dalla morsa del caldo.

Sul Chao Praya. Ho poche foto perché lo smartphone mi ha abbandonato durante il viaggio (Bangkok, 2014)

Il Wat Phra Kaew (il tempio del Budda di smeraldo), il Wat Pho dove c’è il famoso Budda sdraiato e il profilo inconfondibile dello svettante Wat Arun sono tutti a poca distanza l’uno dall’altro, si vedono insieme. Il Wat Phra Kaew non mi emoziona nonostante i colori scintillanti, la sua bellezze, le preghiere dei monaci che riempiono l’aria. O forse devo ancora assorbire il caldo, il fuso orario, lo stress delle troppe persone che hanno tentato di ‘ghermirci’ per la strada spiegandoci che oggi no, per nostra sfortuna era tutto chiuso e ci avrebbero volentieri chiamato un tuk tuk per mandarci chissà dove, comunque in un posto molto più bello. Invece no, è aperto, naturalmente, anche se in effetti oggi c’è qualche evento al palazzo reale.

Al Wat Pho un gruppo di studenti si propone di farci da guida – “ci serve come esame”, spiegano – con un inglese assolutamente incomprensibile. Non capiamo quasi nulla di quello che tentano di spiegarci, ma è un benvenuto che ci mette subito il sorriso. E qui arriva forse il mio momento preferito di questa toccata e fuga a Bangkok, davanti al grande Buddha sdraiato.

Il Budda sdraiato del Wat Pho (Bangkok, 2014)

Il Budda sdraiato, al Wat Pho di Bangkok (foto di Patrick Colgan, 2014)

E’ enorme e magnifico, è un luogo che trasmette pace, tranquillità. Mi ricorda un tempio nella montagna giapponese. Forse è per la serenità del luogo, forse mi ricorda i grandi Budda di Nara e Kamakura. O forse è solo per il suono ipnotico delle monete che i fedeli lasciano cadere in piccole ciotole e che mi ricorda tanto le offerte dei santuari nipponici. Ma resterei qui molto più a lungo di quello che il tempo ci consente.

A fine giornata il panorama dall’alto del Wat Arun, sull’altra sponda del fiume, è il nostro saluto a Bangkok.

Il Wat Arun (Bangkok, 2014)

Il panorama dal Wat Arun, Bangkok (foto di Patrick Colgan, 2014)

2. Dalla Jim Thompson’s house al mercato

Non lo avrei mai immaginato, ma la casa-museo di Jim Thompson è un posto che mi ha stupito. Ero prevenuto: l’obbligo di una visita guidata, il fatto che fosse opera di un americano che aveva trasportato qui case antiche, piante e oggetti d’arte da tutta la Thailandia mi dava l’idea di qualcosa di finto, estraneo. Invece è un posto pieno di grazia, di bellezza, di pace, un’oasi in mezzo a una delle zone più trafficate e caotiche di Bangkok. Queste case in legno nascoste fra le palme trasudano amore per la Thailandia: le ho lasciate con un velo di malinconia pensando a Thompson che, prima di svanire nel nulla, aveva vissuto solo per pochi anni in questo capolavoro che aveva creato.

Manuela scrive che il suo innamoramento per Bangkok è iniziato qui, chissà forse fra qualche ritorno potrò dirlo anche io.

La Jim Thompson’s house (2014)

Il canale lungo il quale passano le barche della Golden mount line (Bangkok, 2014)

E poi, lasciata la casa, che aveva il suo molo privato sul canale, decidiamo di seguire il percorso che avrebbe fatto Thompson. Prendiamo una barca nella notte – ormai è buio – con l’idea di andare più o meno in direzione di Banglamphu, quasi a caso. La mappa non è in inglese, ma da quel che capisco la direzione è giusta. E’ bellissima la sensazione di muoversi in barca attraverso la città. Forse la Bangkok perduta di cui scrive Lawrence Osborne esiste ancora. Si intuisce qui, per esempio.

Scendiamo al capolinea che in realtà è sotto il Wat Saket, la montagna d’oro e ci ritroviamo nel brulicare di un mercato notturno, probabilmente è famoso, ma non so nemmeno esattamente qual è. E non mi importa. A me piace perdermi così. E mi piace quando le città mi sorprendono in questo modo.

Fra le bancarelle (Bangkok, foto di Patrick Colgan, 2014)

Fra le bancarelle (Bangkok, foto di Patrick Colgan, 2014)

3. La cena in un beer garden

Passiamo la serata con Paolo, blogger di Wander in Japan, che vive qui da tempo e ci porterà un po’ in giro in città. E la partenza è sorprendente, ceniamo in un beer garden. Un tipo di locale che in Europa associamo all’estate e che invece, con il caldo di Bangkok, resta aperto tutto l’anno: ce ne sono tanti. Ordina lui e i piatti continuano ad arrivare. Curry verde, som tam (insalata di papaya piccante), noodles, il tutto annaffiato da litri di birra Asahi ghiacciata (cioè con ghiaccio, come usa in Thailandia) che spilliamo direttamente al tavolo. Inevitabile, per noi, che sia una birra giapponese. E non c’è niente di meglio che una cena, chiacchere e qualche risata per farmi piacere una città. E’ la nostra ultima sera e sono sicuro che a Bangkok tornerò.

particolari della cena nel beer garden (Bangkok, 2014)

particolari della cena nel beer garden (Bangkok, 2014)

Qualche litro di birra… giapponese (foto di Patrick Colgan, 2014)

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