Stupendo.
Nudo e crudo, profondamente attuale, senza troppe costruzioni ed elaborazioni. A tratti dilaniante.
Un ragionamento sulla vergogna e sullo stato di umiliazione di una donna che fa rabbrividire anche i più esigenti mendicanti della coerenza.
La capacità di scelta rappresentata da Marion Cotillard, fa di lei, ancora una volta, una grande attrice di calibro internazionale.
La cosa che mi ha colpito di più della sceneggiatura è stata la rappresentazione/constatazione dell’incapacità di mantenere fede alla propria coscienza, da parte degli altri, i colleghi, cui cercare aiuto e supporto. Non mi esprimo su quelli leali, ma quelli sospettosi e vigliacchi, duri e menefreghisti.
Elementi che conducono a una riflessione su quanto una professione o un’azione siano oggetto di scambio micidiale, decisivo nel saper preservare un’etica personale sana e valida che vada oltre ogni contesto.
Non un passo fuori asse se gli altri non si muovono sulla nostra stessa direzione; non un passo fuori dalla paura, verso una rinuncia nell’aiuto per l’altro. La lealtà è limitata, e pochi entrano in rapporto empatico e di rispetto rimanendo fedeli su quanto detto.
Un altro aspetto interessante è stata la rappresentazione di una Francia a margine: non la solita Parigi inflazionata, ma quartieri e aree periferiche, che rafforzano la credibilità del film in tutti i contesti internazionali in cui la crisi ha morso ferocemente, in cui tutti possono ritrovarsi.
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