Era una giornata incolore, di quelle che si contano numerose a Londra soprattutto nei mesi invernali. Una di quelle giornate in cui il chiarore diurno mantiene la stessa tenue intensità, dal mattino al pomeriggio, e la notte sopravviene improvvisa, quando il pallido e soffocato riverbero del sole, dietro una spessa coltre di nubi, ha concluso il suo faticoso ciclo giornaliero.
Soffiava una brezza fresca e leggera. Ma il vento, a tratti, diveniva impetuoso, e con violente folate sembrava spingerci, come per gioco o come se volesse incoraggiarci ad andare avanti.
La ricerca di un lavoro stava diventando estenuante.
- “ Non conosco più la Londra dei tempi andati” mi aveva detto Giorgio, appena la sera prima, uscendo da una delle tante agenzie del centro che avevamo inutilmente visitato.
Lo seguii nella sua marcia, concentrato sul rumore che i nostri passi producevano calpestando le foglie. Il rombo di un’auto distolse la mia attenzione.
-” Dove andiamo?” gli chiesi.
-” Proveremo a fare un largo giro per di qua”- rispose voltando leggermente il capo all’indietro. “Male che vada ci ricongiungeremo alla Maida Vale. Lì è pieno di agenzie di lavoro.”.
Giorgio conosceva molto bene quella zona, o meglio la conosceva assai meglio di me. Ci abitava già dall’anno precedente. Aveva preso l’ampio monovano che adesso occupavamo insieme, con una ragazza, ora rientrata in Italia, come mi aveva fugacemente informato, non senza che un’ombra oscurasse i suoi occhi tristemente ed io non avevo osato più chiedergli niente, nè lui aveva mai più ripreso l’argomento.
Camminavamo in silenzio. Ogni tanto incrociavamo qualche frettoloso passante o si scorgeva, quasi più che udirsi , come una fugace apparizione, un’auto o una moto il cui rumore si diradava lentamente, come assorbito e diluito nell’immensità del silenzio circostante. Svoltando svariate volte, dopo un tempo indefinito, quel deserto di foglie secche parve interrompersi bruscamente contro una ringhiera di ferro. Mi appoggiai ad essa, ansimante ed eccitato per la marcia e per una strana emozione che, improvvisamente, mi aveva pervaso.
Dal mio punto di osservazione, alte chiome d’albero nascondevano l’orizzonte e potevo vedere soltanto, lievemente ondeggiante nel vuoto, un cartello verde con la scritta Winpey in caratteri cubitali rosso-cupi. Sentivo un prurito piacevole per tutto il corpo. Una sensazione che fu subito di leggerezza. Un desiderio di lasciarmi andare, di librarmi nell’aria, verso quel cartello, verso il cielo.
-” Vieni, scendiamo per questi gradini”-
La voce di Giorgio mi distolse da quei pensieri. Mano a mano che scendevamo la scalinata, la visuale, sotto di noi, assumeva i suoi reali contorni. Quel cartello, che dall’alto mi era sembrato sospeso nell’aria, era la sommità dell’altissimo traliccio di una gru che capeggiava al centro di un immenso cantiere edile. Alzai di nuovo lo sguardo verso quella scritta e notai che si stagliava contro un cielo carico di piombo, senza uno sbalzo di tonalità. Una cappa plumbea fin dove arrivava il mio sguardo.
-” Siamo di mattina o di sera, Giò?” – Feci serio.
-”Che differenza fa?!” – mi rispose quasi canzonandomi – “ Comunque qui stanno lavorando, andiamo a sentire”. – Mi fece ancora.
Per trovare l’accesso al cantiere, che occupava un largo spiazzo al centro di un crocevia, percorremo per circa metà il perimetro del cantiere. Le spesse tavole che lo delimitavano avevano degli interspazi di quindici centimetri circa, attraverso i quali si intravedevano numerose macchine: scavatrici, pale meccaniche,betoniere, impastatrici, tutte ferme, come mostri addormentati o morti, nel silenzio più totale.
-” Come fai a dire che c’è gente che lavora qui? Io non vedo nessuno”.
Giorgio diede anch’egli uno sguardo all’interno, chinandosi un poco.
-”Saranno fermi per uno dei tanti “tea-times” che gli Inglesi fanno. Cerchiamo l’entrata e poi si vedrà”.
L’entrata stava proprio alla parte opposta al punto in cui, per la prima volta, su dal viale, avevo scorto il traliccio della gru. Entrammo. Tra macchine e pale, mucchi di sabbia e cataste di sacchi di cemento, mattoni, legnami, ferri ed utensili vari, notammo una piccola casetta di lamiera rossa che stava quasi al centro del campo di lavoro. Ci stavamo avvicinando quando si aprì una porticina che,dipinta dello stesso colore del casotto, quasi non si notava dal resto.
-”Salve ragazzi!” – Ci fece un signore uscendo, nel vederci.
-”In che cosa posso aiutarvi?”-. Il suo tono era cordiale e allegro. Era come se vedesse due persone già conosciute .
-” C’è bisogno di qualche manovale, qui da lei?” – Gli fece Giorgio senza preamboli e ridendo anche lui.
Ci fermammo a quattro passi e così ebbi modo di osservarlo meglio: aveva una carnagione dai riflessi cerulei che contrastavano con il nero forte dei capelli. Vestiva con eleganza un abito marrone su camicia bianca e una cravatta a strisce rosse e nere, oblique, che si intonava bene.
-”Non avrei niente in contrario davvero” – riprese l’uomo nello stesso tono gioviale di prima-” ma la nostra ditta assume solo tramite l’agenzia. Adesso vi dò l’indirizzo e così andate a vedere. Ci sono buone speranze. Seguitemi nell’ufficio dunque”-, ci spronò vedendoci indecisi.
L’ufficio era improvvisato, da campo. Anche al suo interno si notavano numerosi secchi pieni di martelli, scalpelli, picchetti, livelle, cazzuole ed altri attrezzi da muratore. Appena dentro, Mr. Joking (così si era presentato, chiedendoci a sua volta i nostri nomi) era passato subito al di là di una scrivania in legno carica di scartoffie, di alcunio campioni di piastrelle colorate e di qualche attrezzo minuto.
Ci scrutò meglio da capo a piedi.
-” Da dove venite?” – Ci chiese dopo un attento esame, distogliendo lo sguardo.
-”Dall’Italia” – rispose pronto Giorgio precedendomi.
Sembrammo superare il suo esame, perchè ci sorrise soddisfatto.
-” Eccovi l’indirizzo dell’Agenzia” – disse dopo avere scarabocchiato qualche cosa su un pezzo di carta, – “ e buona fortuna!”-, aggiunse mentre porgeva a Giorgio il biglietto!
Non avevamo neanche avuto il tempo di leggerlo che si udì un vocione alle nostre spalle che diceva: “ -Il vecchio Pat non sopporta che si pronunci male il suo nome e quello della sua Agenzia e soprattutto non sopporta che gli si raccontino delle balle. Se lo farete, non avrete nessun lavoro da lui”. Poi, rivolto a Mr Joking aggiunse:
- “Pat il boia sta per vincere ancora, non è vero?” -
Voltandoci scorgemmo un gigantesco uomo che rideva sguaiatamente.
Giorgio era rimasto perplesso, con il biglietto in mano, a guardare ora il gigante, che si teneva il pancione dal gran ridere, ora Mr. Joking, che pareva invece alquanto imbarazzato.
Mi feci più vicino a lui quando lo vidi leggere il foglietto. Vi stava scritto, su una sola riga: “Pat Winningoes – Gehenna Geld”, e nient’altro.
-” Strani nomi, gli ultimi due. Sembrano tedeschi”-, esclamò Giorgio con voce smarrita.
- “ Non ha messo neppure il numero di telefono. Glielo chiediamo?”-, feci io.
-” Casomai lo cercheremo sulla guida telefonica. Sempre che esista”-, mormorò Giorgio. E mettendosi il foglietto in tasca , infilò la porticina della casetta. Uscimmo senza salutare con un passo veloce e nervoso. Prima di giungere all’uscita del cantiere, ci sentimmo chiamare.
-” Hey, aspettate un momento, prego!”. Mr. Joking ci raggiunse affannando un pochino. -”Non fate caso a Big Joe, è un burlone” – aggiunse sorridendo come quando ci aveva visti la prima volta, con un tono di voce rassicurante. “Venite, prego”-, fece poi guidandoci oltre l’uscita. “Attraversate la strada in quella direzione e imboccate decisi il viale che avete di fronte; poi contate la terza a sinistra e non potete sbagliare: di fronte avrete un grosso portone in legno scuro. Lì c’è l’Agenzia. Andate e……ancora buona fortuna”!
Aveva parlato tutto d’un fiato e in modo così convincente che ci eravamo già dimenticati di Big Joe e dello scherzo di prima. Prendemmo il viale che ci aveva indicato Mr. Joking, ed alla terza traversa a sinistra ci trovammo in un vicolo cieco, largo e corto. Sul fondo si stagliava un grosso portone in legno scuro.
Più che l’ingresso di una delle tante agenzie di lavoro londinesi mi parve di avere di fronte una residenza ricca e lussuosa. Dei gradini in marmo davano su di un atrio straordinariamente luccicante, ai cui lati si ergevano, anch’esse in marmo, due possenti colonne.
Giorgio fu il primo a salire i gradini e ad un certo punto parve inciampare . Si rimise subito in equilibrio, mormorando un seccatissimo “Accidenti!” e controllandosi il fondo delle scarpe, come se lì cercasse la causa dell’incidente.
Il vento, fattosi più insistente, formava in quel vicolo un sibilante mulinello, sbattacchiando violentemente sul portone un cartello rettangolare che vi era stato malamente affisso con del nastro adesivo solo per un lato. Con la mano lo fermai sul portone. Vi leggemmo, in una chiara grafia dai caratteri corsivi
“London Trickery and Illusion Centre”.
- Ma dove cavolo ci hanno mandato quei due?”-, sbottò Giorgio guardandomi in faccia.
- “Boh”-, feci io di rimando, mollando la presa del cartello, che riprese subito a sventolare.
- “ Stai a vedere che c’hanno tirato un bidone, quei due sbruffoni!”-, mi dissi stizzito. Eppoi rivolgendomi al mio compagno – “Non abbiamo, per caso, sbagliato nel contare le traverse?”. E feci per tornare indietro a controllare.
- Corri a guardare, oh!” -, mi gridò dietro Giorgio in quel mentre, con una nota di emozione nella voce. Tornai velocemente sui miei passi e mi avvicinai. Con la mano destra fermava il cartello sul portone e con sorpresa stavolta vi lessi : -”Pat Winningoes- Gehenna Geld Agency- 1st Floor”.
-” Che diavolo di storia è mai questa?-, feci a Giorgio che mi guardava beffardo, con la mano sempre ferma sul cartello.
-” La storia è tutta qua”-, rispose. E con gesti enfatici, come un prestigiatore che sveli al pubblico un trucco sorprendente, girò il cartello dalla parte in cui lo avevo fermato io la prima volta, dove si leggeva appunto quell’altra scritta. Lo voltai da una parte e dall’altra, per un paio di volte, come per farmi convinto, mentre Giorgio già spingeva l’altra metà del portone.
L’ingresso era oscuro, ma dopo esserci chiusi il portone alle spalle, notammo, sulla sinistra, una porta aperta. Vi si intravedeva, appena, una fioca luce.Imboccammo delle scale, anch’esse scarsamente illuminate, dopo avere , quasi a tentoni, superato un angusto anditino. Non vi era segno alcuno di vita. Al primo pianerottolo trovammo, ancora sulla sinistra, una porta aperta e ci affacciammo a vedere.
-” Avanti, avanti”- fece una voce da dietro una porta a vetri dischiusa. E prima ancora che potessimo fare o dire qualche cosa, un viso scarno comparve sulla soglia ed in tono più fermo replicò:
-“Avanti dunque”-.
…continua…