MARGHERITA GIACOBINO, L’EDUCAZIONE SENTIMENTALE DI C.B., 2007
Bambina cresciuta in provincia tra una madre affaticata, un padre a corrente alterna e una zia burbera ma di grande solidità, comincia a prendere coscienza di sé in un liceo dove le differenze sociali sono invalicabili, e reagisce dimostrandosi forte, brava negli studi, tosta, a costo di sofferenze solitarie. Trasferitasi a Torino per frequentare l’Università in anni in cui si fumava molto e si telefonava poco, incontra un’insegnante che la affascina, conosce il femminismo, sperimenta, viaggia, trova l’amore dove non si aspettava, continua la faticosa strada verso l’affermazione di un’identità che infine, nell’ultimo, potente capitolo, attraverso la conoscenza della morte giunge a riappropriarsi delle radici familiari. I molti personaggi sono tratteggiati con particolare maestria, e lasciano un segno. Quello che piace particolarmente in questo romanzo è lo sguardo sempre lucido, la narrazione brillante e agretta, priva di sentimentalismi o vittimismi, di una donna piena di coraggio, che sa quello che vuole e combatte per conquistarsi uno spazio di vita congeniale. La sua fragilità coinvolge, la sua intelligenza affascina. Con una scrittura ricca, che non ha paura di ridondanze né di aggettivi, Margherita Giacobino disegna l’educazione sentimentale di una donna che ama le donne in cui chiunque può riconoscersi.
I personaggi sono molti, come è d’obbligo, a cominciare dalla vittima, uno spocchioso professore, saggista e romanziere, che ama i ragazzi giovani e non ne fa mistero. Intorno a lui muovono coppie più o meno convenzionali, un’ex insegnante matura e il suo giovane amico, due donne inglesi in ménage da molti anni, una giovane madre e il suo torvo e cortese marito, le twins, gemelline in piena dentizione, mute ma assai presenti. E poi, gli abitanti stanziali del borgo, coro chiacchierone e anche pesantemente coprotagonista. Tutti hanno un passato più o meno inquieto o un presente non proprio specchiato, come le persone vere. Tra feste di paese e puntate a Torino, il giudice istruttore Minelli, svagato e acuto, segue l’indagine condotta dai poliziotti piuttosto incompetenti. C’è tempo anche per un’esilarante incursione a chiave nel mondo dell’editoria (il grande editore si chiama nientemeno che Pompadori…) e alla fine i misteri si dipanano, con un colpo di scena che lascia soddisfatti e ammirati. La scrittura veloce e ironica è un punto di forza di questo felice esordio, anticonvenzionale nel contenuto ma sapientemente rétro nella struttura. Nell’attuale alluvione di gialli e noir, una lettura più che raccomandabile e una scoperta piacevolissima. Sarebbe piacevole anche ritrovare Minelli in un’ulteriore avventura.