Sono stato questa mattina al Teatro Quirino, all’incontro pubblico organizzato da SOS Rinnovabili per sondare il terreno e capire quanto sono incazzati coloro che operano nel settore delle energie alternative (avevo accennato qualcosa in questo articolo per Regione Digitale, ma ad ogni modo se ne è parlato tanto nelle ultime settimane). Iniziamo con il dire che sono incazzati parecchio e che tutti i torti non li hanno. Anzi. Il ministro Romani, con il decreto che sospende gli incentivi all’industria fotovoltaica, è riuscito a sconquassare un intero settore, a spaccare la maggioranza (con Micciché che fa il diavolo a quattro e che minaccia di imitare la Lega old school), Confindutria (dove non tutti i vertici condividono il parere del governo) e, inoltre, di andare incontro alle inevitabili sanzioni comunitarie (il pacchetto 20/20/20 sul clima rientra nell’ambito della strategia Europa 2020). Appurato tutto ciò, c’è da aggiungere che la retroattività del decreto bloccherebbe centinaia di investimenti (le banche già non concedono più i finanziamenti) e che tanti lavoratori sono dunque a rischio. Nel fotovoltaico, ad esempio, sono impiegati oltre 150 mila addetti. Durante il dibattito, mentre ascoltavo le testimonianze di piccoli e medi imprenditori, mi sono convinto che il problema dell’Italia è il futuro, non il presente. Più volte si è fatto riferimento al modello tedesco. La Germania, infatti, sta investendo a lungo termine sulle rinnovabili al di là delle scadenze previste. La sospensione degli incentivi significa non innovare e perdere l’ennesimo treno. Al contrario, porsi l’obiettivo della competitività entro dieci anni varrebbe il graduale azzeramento degli aiuti economici favorendo lo sviluppo di un’industria nazionale ancora assente. Creare un meccanismo virtuoso non è roba per noi. E il Paese arretra.
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