Due poesie di Teresa Ferri

Creato il 19 novembre 2011 da Viadellebelledonne


Oh!

Ci si può sbagliare quando il sole
troppo assedia gli occhi,
ma quando si fa sera
e l’ombra cala spessa
della notte amica
più vede il terzo occhio
aperto come ferita sulla fronte
e lì di meraviglia urlo di pietra
scandisce il gesto, lo sminuzza tutto
e incarta l’errore come preziosa gemma
dentro il ricordo
per farne insegnamento a inveramenti d’albe,
a lusinghe di basilisco
sempre acquattato subdolo sotto il suo sasso.

Goccia color nero di seppia un altro giorno
e invecchi e ridi mentre ripassi la sintassi
del vivere a distanza ogni stupore, ogni bel mito,
ogni smarrita sillaba di fede.

Teresa Ferri (2005)


La luce del sole può trarre in inganno, illudere sulla vera natura del reale, sulla sua positività o la nostra possibilità di controllarlo; l’ombra della sera che spenge il fulgore del giorno, stimola invece l’esatta percezione della realtà. Per questo la notte può essere amica e quel terzo occhio è più potente ed utile dei consueti. Essa è come una ferita sulla fronte, perché i precisi contorni del reale vorremmo non vederli, li temiamo, ne prendiamo le distanze.

Tuttavia, pur nella sofferenza che ci procura, questa possibilità di vedere senza infingimenti, può essere esperienza preziosa (gemma), quando ci verranno offerte inedite possibilità di esercizio del nostro mestiere di vivere (inveramenti d’albe); la lusinga, l’artifizio, la tentazione di cedere alle lusinghe è però sempre presente ( basilisco sotto il sasso).

Il nero di seppia dei nostri giorni ci impone di ripassare la sintassi della vita prendendo le adeguate distanze da meraviglie, incanti, stupori, facili fedi.

La poesia è quindi denuncia del male di vivere e delle illusioni da cui siamo tentati di lasciarci ammaliare; solo la sera, quando rifulge meno lo splendore della natura, è veicolo di verità e trionfo della ragione. L’errore diventa però preziosa gemma, strumento di allontanamento dagli inganni e dagli autoinganni. In questo sta l’apertura e il barlume di speranza della poesia.

Il titolo allude all’esclamazione di meraviglia dei bambini di fronte ad una sorpresa inaspettata: così è per gli adulti rispetto alla complessità del reale…

Sul piano formale, i versi sono di vario metro, con una certa prevalenza dei settenari; il lessico è di registro alto, a volte aulico (inveramento, basilisco).

   M.Gisella Catuogno


Bambola di biscuit

 Bambola di biscuit
di infanzie al cappio ignara
cieca sorride
con sue labbra di fragola
e sfida audace l’orizzonte avanti

sorride inganni di zaffiro e perle rare
venati qua e là di nera tormalina
(mai stata nella solfatara)
e con la destra leggiadra fine manina
un lembo alza dei suoi pizzi e trine
a discouvrir gambetta salmone tenerello
onde innamorare il pastorello accanto
che già rapito nei sensi e nei non-sensi
imbambolato insegue il suo guardo immacolato.

Incanto accade e perdizione immensa
trasvola su quei giardini bianchi e cieli
se fissi negli occhi il candore dubbio
di quell’infanzia (la mia, la tua, di loro)
di porcellana avorio di Capodimonte
che, presa di sé, stordisce
e ubriaca di malie
in mille pezzi cade piangendo
dove si specchia e corre
cavallo ligneo a dondolare lento
miti leggende credenze secolari
che vogliono quella la più bella etade.

T.F. (2003-2005)

La bambola, simbolo per eccellenza dei giochi d’infanzia, è essa stessa ancorata per sempre alla sua condizione infantile; ignara di quella prigionia (il cappio) sorride con le labbra rosse e sembra audacemente sfidare ciò che ha davanti.

E’ bella e sontuosa per far sognare le bambine ( zaffiro, perle rare, trine), ma il suo atteggiamento non è innocente: la manina scosta la gonna a scoprire il rosa tenero della sua gambetta, per sedurre il pastorello accanto, che è facile a distrarsi, stupirsi, innamorarsi.

Così l’incantesimo si mescola al turbamento dei sensi, alla falsa innocenza di quell’età che la tradizione si ostina a considerare candida, pura, asessuata. Il mito dell’infanzia, di matrice romantica, rivisitato da Freud, ha mostrato al contrario i meandri dei turbamenti e dei desideri tipici del periodo.

Sul piano formale, la presenza di termini come discovrir, tenerello, etade ricalcano ironicamente certo linguaggio proprio quella poesia romantica, che aveva contribuito ad  elaborare quei  giudizi e  pregiudizi sull’infanzia ancora oggi presenti nella nostra cultura.

   M.Gisella Catuogno



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