Due studi confermano: possibile attività idrotermale su Encelado

Creato il 11 marzo 2015 da Aliveuniverseimages @aliveuniverseim

"Questi risultati aggiungono alla possibilità che Encelado, che ha un oceano sotto la superficie e mostra una notevole attività geologica, potrebbe contenere ambienti adatti per gli organismi viventi", ha detto John Grunsfeld, amministratore del Science Mission Directorate della NASA a Washington.
"I luoghi del nostro Sistema Solare dove ci sono ambienti estremi in cui la vita potrebbe esistere, ci avvicinano ad una risposta per la domanda, siamo soli nell'Universo?".

L'oceano di Encelado fu confermato da un team internazionale di scienziati, guidato da Luciano Iess del dipartimento di Ingegneria meccanica e aerospaziale dell'Università La Sapienza di Roma La squadra aveva dedotto l'esistenza della massa d'acqua grazie ai dati rilevati durante tre flyby della Cassini, tra aprile 2010 e maggio 2012, che portarono la sonda ad una distanza molto ravvicinata dalla luna.
Nel dettaglio, due flyby erano sul polo sud della luna, ad distanza rispettivamente di 104 e 70 chilometri dalla superficie; l'altro sul polo nord, ad appena 49 chilometri. Durante ogni sorvolo, i segnali radio venivano trasmessi per circa 1.300 milioni di chilometri fino alla Terra e captati dalle antenne delDeep Space Network della Nasa, sepolti tra una serie di altri fenomeni, compresi i disturbi dovuti alla rotazione terrestre. In questa montagna di dati, gli scienziati avevano cercato le minute variazioni in frequenza causate dagli effetti gravitazionali della luna sulla sonda, conosciute come Effetto Doppler (che misura l'apparente variazione di frequenza delle onde emesse da una sorgente in moto rispetto a un osservatore). La nuova mappa gravitazione di Encelado ricavata aveva indicato variazioni nella composizione interna, suggerendo un vasto oceano al polo sud esteso fino all'equatore, a 10 chilometri di profondità sotto il guscio ghiacciato di 30 / 40 chilometri di spessore.

L'oceano, interposto tra il nucleo roccioso della luna e il guscio ghiacciato in superficie, era già di per sé un ottimo presupposto per la ricerca di ambienti adatti ad ospitare la vita oltre la terra ma ora lo scenario diventa ancora più intrigante.

Credit: NASA/JPL-Caltech

L' attività idrotermale si verifica quando l'acqua si infiltra e reagisce con la crosta rocciosa, riemergendo in una soluzione riscaldata carica di minerali. Dato che il nostro pianeta è geologicamente attivo, è un processo molto comune sulla Terra: si manifesta principalmente in aree vulcaniche ed in zone dove soggette a movimenti delle placche tettoniche, come i fondali oceanici. Adesso, però, i nuovi risultati dimostrano, per la prima volta, che l'acqua geotermicamente riscaldata può esistere su un mondo molto diverso dal nostro, come una luna ghiacciata.

A queste conclusioni sono giunti ben due studi separati.

Il primo articolo, pubblicato questa settimana sulla rivista Nature, riguarda le piccole particelle di roccia rilevate dalla sonda Cassini nel sistema di Saturno.
I dati di quattro anni di missione, le simulazioni al computer e gli esperimenti in laboratorio, hanno dimostrato che i minuscoli granelli si devono formare quando l'acqua calda, che contiene sali minerali disciolti provenienti dalle rocce interne alla luna, viaggia verso l'alto, entrando in contatto con l'acqua fredda. Interazioni che necessitano di una temperatura di almeno 90° Celsius.

"E' molto interessante che questi minuscoli granelli di roccia, sparati nello spazio dai geyser, possano raccontarci le condizioni che ci sono sopra e sotto il fondo di un oceano su una luna ghiacciata", ha detto l'autore principale del documento, Sean Hsu, ricercatore presso l'Università del Colorado, a Boulder.

Il Cosmic Dust Analyzer ( CDA) a bordo della sonda Cassini, un sensore in grado di misurare le dimensioni, la velocità e la direzione dei granelli di polvere vicino a Saturno, nonché la loro composizione chimica, ha rilevato più volte minuscole particelle di roccia ricche di silicio.
Escludendo ogni altra possibilità, il team ha concluso che si tratta proprio di silice, come quella presente nella sabbia sulla Terra.
La dimensione costante dei grani osservata dalla Cassini, il più grande dei quali misura dai 6 ai 9 nanometri, indica inoltre un'origine comune.

Sulla Terra, il modo più semplice per ottenere granuli di silice di questa dimensione è proprio grazie l'attività idrotermale sotto particolari condizioni, ossia quando l'acqua leggermente alcalina e salata, super-satura di silice, subisce un forte calo termico.

"Abbiamo cercato metodicamente spiegazioni alternative per i nano-grani di silice ma ogni risultato indicava una sola e stessa probabile origine", ha detto il co-autore dello studio, Frank Postberg, del team CDA della Cassini presso l'Università di Heidelberg, in Germania.

Hsu e Postberg hanno lavorato a stretto contatto con altri colleghi dell'Università di Tokyo, i quali hanno eseguito esperimenti di laboratorio dettagliati per convalidare l'ipotesi idrotermale. Il team giapponese, guidato da Yasuhito Sekine, ha verificato le condizioni in cui si formano i grani di silice delle stesse dimensioni rilevate dalla Cassini.

Le dimensioni estremamente ridotte delle particelle di silice suggeriscono anche che queste devono viaggiare verso l'alto piuttosto rapidamente, dalla loro sorgente idrotermale ai geyeser in superficie: una distanza complessiva di circa 50 chilometri, prima che possano raggiungere lo spazio, che verrebbe percorsa in qualche mese o qualche anno al massimo (altrimenti risulterebbero molto più grandi).

Gli autori sottolineano che le misure sulla gravità di Encelado suggeriscono un nucleo poroso e questo consentirebbe all'acqua dell'oceano di infiltrarsi, permettendo le interazioni con la roccia.

Ongoing hydrothermal activities within Enceladus [abstract]

Detection of sodium-salt-rich ice grains emitted from the plume of the Saturnian moon Enceladus suggests that the grains formed as frozen droplets from a liquid water reservoir that is, or has been, in contact with rock. Gravitational field measurements suggest a regional south polar subsurface ocean of about 10 kilometres thickness located beneath an ice crust 30 to 40 kilometres thick. These findings imply rock-water interactions in regions surrounding the core of Enceladus. The resulting chemical 'footprints' are expected to be preserved in the liquid and subsequently transported upwards to the near-surface plume sources, where they eventually would be ejected and could be measured by a spacecraft. Here we report an analysis of silicon-rich, nanometre-sized dust particles (so-called stream particles) that stand out from the water-ice-dominated objects characteristic of Saturn. We interpret these grains as nanometre-sized SiO2 (silica) particles, initially embedded in icy grains emitted from Enceladus' subsurface waters and released by sputter erosion in Saturn's E ring. The composition and the limited size range (2 to 8 nanometres in radius) of stream particles indicate ongoing high-temperature (>90 °C) hydrothermal reactions associated with global-scale geothermal activity that quickly transports hydrothermal products from the ocean floor at a depth of at least 40 kilometres up to the plume of Enceladus.

Il secondo articolo, pubblicato recentemente sulla rivista Geophysical Research Letters, suggerisce che potrebbe essere proprio l'attività idrotermale una possibile fonte del pennacchio di particelle e gas, ricco di metano, che erutta dalla regione del Polo Sud di Encelado.

Il team ha scoperto che, alle alte pressioni previste per l'oceano della luna, i clatrati (composti a gabbia che possono intrappolare molecole ospiti) potrebbero imprigionare il metano al loro interno. Il processo sarebbe così efficiente tanto da impoverire l'oceano dal gas.

L'ipotesi favorita è che l'attività idrotermale riesca a saturare di metano il mare sotterraneo più velocemente di quanto i clatrati riescano ad intrappolarne; oppure, i clatrati stessi potrebbero essere trascinati lungo i geyser rilasciando il gas.

"Non ci aspettavamo che il nostro studio sui clatrati nell'oceano di Encelado ci avrebbe portato all'idea che il metano fosse prodotto attivamente da processi idrotermali", ha detto l'autore Alexis Bouquet, dell'Università del Texas a San Antonio.

Possible evidence for a methane source in Enceladus' ocean [abstract]

The internal ocean of Enceladus can be expected to present conditions favorable to the trapping of volatiles in clathrates. This process could influence the eventual composition of the ocean and therefore of the plumes emitted by the south polar region. Here we used a statistical thermodynamic model to assess which species detected in the plumes by the Cassini-Ion and Neutral Mass Spectrometer experiment are trapped in clathrates. We treated Enceladus' internal ocean as a terrestrial subglacial lake with a mixture of dissolved volatiles indicated by plume gas measurements. We find that the conditions for clathrate formation are met in this ocean, except above 20 km or in hypothetical hot spots. The formation of multiple guest clathrates depletes methane below plume levels, suggesting that clathrates eventually dissociate (releasing methane) in the fissure that connects the ocean to the surface or that another mechanism (such as hydrothermal reactions) is compensating by adding methane into the ocean.

Credit: NASA/JPL-Caltech/SwRI

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