Due ventenni: la profezia di Garibaldi

Creato il 07 ottobre 2013 da Albertocapece

Anna Lombroso per il Simplicissimus

Proprio vero che le parole sono pietre che siamo inclini a tirare con leggerezza.

Sfidando la spirale della storia che si avvita su se stessa, viene chiamata ventennio l’era Berlusconi a confermare un luogo comune, forse per questo diventata certezza scientifica:la ricorrenza perfino temporale delle tirannie, l’invenzione periodica propria della creatività italica  di nuovi modelli dittatoriali.

E con altrettanta lievità purtroppo non solo semantica, il presidente del consiglio lo liquida come concluso, mette una lapide apotropaica – o complice- sul sepolcro imbiancato, seppellisce la mummia per tenerla viva tramite il pupazzo del ventriloquo ancora sulla ribalta.

Le differenze ci sono tra i due ventenni, più formali che reali, olio di ricino, treni in orario, assassini e repressioni meno cruenti e espliciti, fattezze di un regime solo formalmente democratica, ma in realtà autoritario, razzista, corrotto, lesivo del sistema parlamentare e delle sue prerogative,segnato  da una esplicita e esibita indole al disprezzo delle leggi e della giustizia, irridente della Carta e dei diritti che rivendica universalmente, che si vuole ridurre a selettivi privilegi, forte dell’illusorietà convincente dei suoi miti più deteriori: i primati della forza, dell’ambizione personale, della furbizia come autodifesa, dell’egoismo come valore, della sopraffazione come metodo di governo.

E in ambedue i casi la loro affermazione è stata promossa dalla sottovalutazione di chi li considerava fenomeni passeggeri, pittoreschi, volgari e quindi effimeri. Ma la somiglianza non si limita certo a questo: tutti e due sono stati caratterizzati dalla straordinaria manipolazione dell’opinione pubblica.  Tanto da rendere persuasive le grandi menzogne convenzionali, l’oscuramento della realtà della crisi, la necessità di partecipare a guerre sotto vero e o falso nome. Fino a elezioni evidentemente truccate, da sistemi perversi e osceni, come dalla disparità insita nella presenza di candidati in piena vigenza di conflitto di interesse, indulgentemente consentito, di un leader proprietario di tutti i mezzi di informazione, in un clima culturale contaminato dalla spettacolarizzazione, da modelli di consumo e di affermazione di controvalori, dalla derisione di principi morali, dalla proposizione della corruzione come scappatoia irrinunciabile per stare a galla.  Si sa che è l’esempio a indirizzare i comportamenti dei bambini: rassicurati dallo stereotipo di un popolo infantile e docile, il ceto dirigente ha esemplarmente incarnato lo stravolgimento delle regole, le piccole e grandi astuzie, la mercificazione delle relazioni, il dileggio della cultura, fino alla cancellazione delle garanzie per conseguire l’obiettivo vero, quello della fine del lavoro per imporre la precaria servitù, della sostituzione dell’economia reale con il gioco d’azzardo della finanza, della disgregazione dello stato in favore di di non più occulti poteri privati, anche esplicitamente criminali.

Qualcuno ha detto: “la società europea è troppo corrotta e troppo egoista per essere in grado, una volta liberatasi di un despota, di sostituirlo immediatamente con un regime repubblicano”. Quel qualcuno era Garibaldi, che si rivela profetico soprattutto per questo secondo ventennio italiano, che come il secolo breve, si dimostra lungo e non ancora davvero concluso, che non ha visto una assunzione di responsabilità e un affrancamento di popolo e tanto meno di èlite, che si stempera nella melma delle intese compromissorie, delle pacificazioni, delle correità.

Non è che Letta e i suoi dimostrino una ridotta capacità linguistica. È che rinnegano di essere loro stessi a mantenere vivo insieme ai soci di maggioranza in consiglio di amministrazione – quelli che hanno i soldi – il regime. Sono loro che hanno tollerato  che un delinquente, condannato in via definitiva, compaia a reti unificate a tentar di scatenare i propri seguaci contro i propri giudici, sono loro che  sopportano l’elogio di Bruto, ma anche di appartenenti alla loro formazione,  di impenitente truffatore  dello Stato  che usa il potere di ricatto della presenza dai suoi scherani al governo, per difendere la propria pessima causa. Sono loro che mellifluamente suggeriscono ricomposizioni e modalità di gestione del partito, per rafforzarne i delfini più o meno fedeli, purché siano leali con la larga intesa sempre più stretta e inclusiva, in modo che sia rimossa ed esclusa  l’ipotesi stessa di una alternativa, esorcizzata ogni voce non conforme, allontanata l’improrogabile riforma elettorale.

Anche fosse finito il ventennio di Berlusconi, non è finito lo stato di eccezione: quello che permette di confutare sentenze definitive, aggirare leggi, sospendere quella nromalità che si chiama Costituzione e quella armonia che si chiama democrazia, per alimentare una guerra contro la sovranità di popolo.