Ma questo mio non sapere chi sono e non avere un luogo su internet dove definire a pieno chi sono lavorativamente parlando mi rattrista, e così ho deciso di prendere il mano la situazione: mi (ri)faccio il profilo linkedin. Un po’ come quando mi tingo la ricrescita dei capelli, quando mi correggo le sbeccature dello smalto, quando mi ritocco il rossetto dopo essermi scofanata un piatto di parmigiana ed essermi poi pulita la bocca col dorso della mano: mi sistemo, a mio modo rinasco, mi riprendo.
Che palle.
Un mondo di social media cosi, di nuove professioni legate a internet che nascono ogni minuto, di scrittori, di instagrammers, di chemminchia, e non ti metti sul social network che raggruppa tutto questo? Ma chi sei, un dinosauro? Sì, e pensate che sfiga, non posso nemmeno schiaffeggiarmi da sola perché noi t-rex abbiamo le braccia troppo corte.
Magari qualcuno non lo sa che quella cosa l’ho scritta io, che quel profilo l’ho gestito io, che quel nome appartiene a me, e così ok, facciamo un riassunto di questi anni da precaria ma mascheriamoli con un velo di “ho fatto un botto di cose fighe, però per l’affitto vendevo le scarpe”. Shh, questo su linkedin non ce lo scrivo mica. Ce lo avevo un profilo linkedin, e figuriamoci se non ce lo avevo, perché pensavo che fosse come tutti gli altri social network e visto che sono presente su tutti gli altri social network ho pensato bene di buttarmi a capofitto anche in quel mondo di skill e collegamenti, ma mi sono accorta subito che non ci avevo capito un cazzo: linkedin è un luogo dove si mostrano le proprie competenze, vere o presunte che siano, dove si cerca lavoro, dove le aziende cercano chi vogliono reclutare, dove si gioca a chi ce l’ha più lungo (il profilo) e dove ci si bulla un po’. Con se stessi, con gli amici, con i colleghi, o con il secchione del liceo che adesso lavora nella gelateria di Tor Pignattara mentre voi siete general manager di Wind Italia. Well done bro!
Un po’ come Amelie con le foto tessere o con i fagioli secchi, io sono affascinata da sempre dai curriculum delle persone, vorrei sempre sapere quello che fanno, quello che hanno fatto, quello che vogliono fare, ma non è semplice fare tutte queste domande al diretto interessato senza passare per creepy o per un esattore delle tasse, così finisco sempre a leggere i loro profili linkedin, lo so che arriva la notifica ma oh, vi siete messi lì sopra per quello, no? Per far sapere a tutti quante cose belle fate, quanto avete studiato, come vi pagate l’affitto, e allora permettetemi di ficcare il naso nella vostra vita come se foste un barattolone di peanut butter. Avevo un profilo linkedin e non c’era nemmeno la foto, ero un’entità astratta tipo quelli con l’ovetto come foto profilo su twitter, ci avevo scritto che frequentavo l’università statale di Milano, sì, quella che poi non ho mai finito, e poco più. Un profilo inutile, che veniva comunque molto visitato, probabilmente dai miei tanti dueditahaters che volevano solo accertarsi che io avessi una vita vera al di fuori di twitter. Stronzi. Così mi sono detta: minchia Denai, se venivano a leggere un profilo vuoto, figuriamoci se non trovi il lavoro dei sogni scrivendo che hai intervistato Valerio Scanu!
Forse è questo il mio problema: tutti elencano i loro meriti accademici con mille dettagli, le loro lauree, i loro dottorati, i loro erasmus, e io lì col mio diploma di perito turistico penso “ma ‘ndo vojo anna’? Ma che ce scrivo? Che so rappare le canzoni di Nicki Minaj?”
Passata la fase di terrore dal non-so-che-cazzo-scrivere, ho fatto una ricerca sul gergo linkediano, quindi ecco: se ho scritto in giro su internet sono una content manager, o una content curator, o una web editor, però potrei essere anche un po’ copywriter, anche ghost writer per quelle cose che ho scritto e che poi hanno pubblicato a nome di altri, se ho organizzato degli eventi sono event manager, se ho invitato delle persone a quegli eventi sono una pr, minchia ho fatto un sacco di roba nella vita, non ci avevo mai pensato. E L’INGLESE? No perché io a Londra ci ho vissuto e quindi me la cavo piuttosto bene, ma non posso certo mettere madrelingua come fate voi burini, perché madrelingua lo sei solo se hai un genitore inglese o se sei almeno nato lì, Capito? Ma io dico ma non lo guardavate the apprentice? Ce lo metto che ho venduto le scarpe in un negozio fantasmagorico di Carnaby Street con un unicorno gigante al suo interno e che i turisti ci facevano le foto da fuori mentre ballavamo vestite da escort pagliacce? Che ho imparato lì a vestirmi con colori diversi dal nero? Che ho venduto scarpe a francesi e spagnoli senza saper parlare quelle due lingue? Che ho intervistato circa duecento artisti, che ho fatto le markette su twitter e su questo blog? E il blog, ce lo metto il blog? Perché io quando mi chiamano “blogger” rido a crepapelle, però in fondo quei famosi quattro stronzi sono diventati un po’ di più e io nella vita vorrei fare questo, quindi può essere considerato un lavoro? Ho sempre detto che il lavoro è quello che ti fa guadagnare dei soldi, io qualche soldo con queste pagine ce lo guadagno, quindi ce lo metto, ok, va bene, ma che blog ho, non è fashion, non è food, non è travel, è lifestyle? Storytelling? Mi zia? Quando mi chiamano influencer, poi, davvero rischio un embolo o di farmi la pipì sotto, però mi ci chiamano, quindi ce lo metto? Ci metto la radio, anche se non mi pagavano? Ci metto che so parlare al contrario? Che mi depilo le braccia anche a dicembre? Che non so fare l’occhiolino e nemmeno schioccare le dita? E soprattutto, a monte: scrivo TUTTO in inglese? Anche se vivo in Italia e voglio lavorare nella mia lingua?
Ci metto tutto perché mi hanno consigliato di fare così, e mi accorgo di non avere una mia foto normale. Posso mettere un selfie di quelli che fanno 350 like su instagram e la gente commenta dicendo che sono bona? Posso far vedere che ho i capelli rosa? E il septum? Lo nascondo? Ma io mica voglio lavorare in banca, mica voglio fare l’infermiera, mica voglio fare la hostess. Metto una foto di Miranda Kerr?
Mi calmo un attimo, respiro profondamente come faccio sempre quando qualcosa mi perplime. Difficile ma non impossibile, difficile ma non impossibile. Sono quasi pronta, ho spiato tutti i profili interessanti degli altri, mi sono segnata le parole chiave, mi sono scattata una foto decente e senza il rossetto viola scuro, ho accennato anche un sorriso, domani mi butto in questo mondo, non prendetemi in giro, tutte quelle cose nella vita le ho fatte davvero, solo che le ho sempre chiamate diversamente. In italiano.