Quarantanni e non sentirli. I Capolavori non perdono fascino con l'età, è vero il contrario. Primo vero lungometraggio di Steven Spielberg. All'epoca il grande regista americano, che oggi voglio celebrare, aveva solo 25 anni. Questo è anche il suo film che amo più di tutti.
Lo vidi anni dopo in un passaggio televisivo ed è tra quelle opere che da ragazzo m'insegnarono cos'era Il Cinema. Sì lo so, Steven Spielberg ha fatto mirabilie anche dopo (alcune presto arriveranno anche qua), sbancato botteghini, premi a non finire, ma non c'è niente da fare, questo per me rimane IL CAPOLAVORO, forse perché il Genio ti stupisce al massimo proprio quando si rivela.
Un uomo in macchina, nelle infinite strade americane, inseguito da un camion che lo vuole uccidere.
Domanda: ma nel camion non c'è un uomo?
Risposta: sì, ma non è dato vederlo. Potrebbe essere uno spirito, un diavolo, un fantasma, se ne vedrà un braccio, gli stivali, ma mai un viso definito.
Domanda: perché vuole uccidere l'uomo in macchina?
Risposta: ecco, questo è proprio ciò che non ha né può avere spiegazione. All'inizio Mann, quello in macchina, sorpasserà il camion durante il suo viaggio, una volta, poi un'altra, con qualche problema, ma uno "screzio" di così poco conto non spiega tanto accanimento. Tutto il film fino allo spettacolare epilogo è una caccia vera e propria.
Quel camion, modello Peterbilt 281 del 1955, fu scelto appositamente da Spielberg. La macchina invece era una comunissima Plymouth Valiant del 1970, scelta con un solo criterio: doveva essere rossa per dare contrasto di colore sui paesaggi desertici.
Fu il solo camion con un "muso" che venne trovato là dove si andò a scegliere. Era un muso a suo modo espressivo, coi fanali come due occhi, aveva una Faccia, molto poco rassicurante. La sua voce la potente tromba, assordante, e il fumosissimo scarico verticale. Già la forma rendeva, poi venne ulteriormente reso sinistro con un colorazione idrocarburica, confacente visto che doveva essere un'autocisterna per il trasporto di materiale infiammabile. Sul paraurti, oltre a quella d'ordinanza, una lunga serie di targhe a campeggiare e alla fine si capirà bene cosa sono: i trofei delle vittime precedenti. Non ci sarà per Mann, interpretato alla grande da Dennis Weaver, alcuno scampo possibile. Quel camion raggiunge velocità impensabili ed è satanicamente guidato. Ossessionante, lo tamponerà, lo supererà, gli farà il verso in ogni modo. Come un mostro del giurassico, apparirà invincibile e sola possibilità di evitarlo la fuga. Finalmente una ripida salita lo metterà in crisi, peccato che alla macchina si romperà un manicotto del radiatore... sfida epica, ormai inevitabile, e la caduta del mostro nella versione "vera" sarà accompagnata da urla terribili, come quelle di un godzilla, a definitiva canonizzazione mostrifica del camion, urla che poi Spielberg utilizzerà anche nella morte de "Lo Squalo".
Un on-the-road terrifico, che deve molto del suo successo anche ai "soliti" che ne hanno cercato significati d'ogni ordine e grado. Non biasimo nessuno, erano pur sempre i primi anni '70. Per me invece è, è sempre stato, semplicemente arte pura, che va a scavare nelle paure possibili di un uomo, nell'assurdità possibile della violenza. Emblematica la scena alla stazione di servizio dove Mann arriva trafelato, dopo una corsa a velocità proibitive senza essere riuscito a staccare il camion. Intanto è un piano sequenza notevole il suo ingresso, che lo accompagna frontale fino al bagno e lo seguirà di schiena al tavolo, tutto realizzato con una Arriflex a mano manovrata dallo stesso Spielberg, la steadycam non esisteva ancora. Mann a quel punto vedrà il camion fuori ad attenderlo, apparentemente senza nessuno all'interno, e dentro la sala tanti avventori tutti con stivali compatibili col solo indizio di abbigliamento che ha del suo cacciatore. Uno dei rari momenti in cui non siamo sulla strada, ma non meno teso, anzi sarà quella sensazione che a volte tutti proviamo nei momenti più neri della nostra vita, quella di essere al centro di una "macchinazione" che coinvolge tutti contro di noi, a renderlo diretto e comprensibile, pur nella assurdità complessiva.
Resto in ogni caso dell'idea che questo film sia soprattutto una grandiosa esperienza visiva, difficile da descrivere nella sua interezza, tutta da provare per capire come la Settima Arte possa essere qualcosa che suscita emozioni senza necessariamente poter sempre essere razionalizzata o spiegata.
Notevolissime le musiche curate da Billy Goldenberg, che ha utilizzato anche strumenti tribali africani per realizzarle. Sono calibrate sulle scene. Lo stesso Richard Matheson, del quale parlerò dopo, s'è complimentato con Goldenberg, dicendogli che come musica non l'avrebbe mai ascoltata, ma per il film era difficile immaginare di meglio. Posso solo confermare: da ascoltare in sala a casa, come un brano qualsiasi, sono impossibili.
Menzione anche per il coordinatore degli stunt, Carey Loftin, che sarà anche il pilota del camion. In pochissimi momenti verrà utilizzata l'accelerazione dei fotogrammi, per il resto sarà ripreso in tempo reale e le velocità rese superiori grazie al montaggio, ma resta una prestazione notevole la sua, considerando anche l'età del mezzo. Altro film famoso in cui operò Carey Loftin è il mitico "Vanishing point - Punto zero".
Spielberg già lavorava da tempo per la fiction. Proprio nel 1971 girò anche un famoso episodio del Tenente Colombo: Un giallo da manuale (Murder by the Book). Ricco d'idee e capacità, era solo la giovanissima età a impedirgli di andare oltre e il bisogno di mangiare richiedeva di poter anche lavorare, allora Spielberg a lungo ruotò intorno alle fiction televisive, esperienza che non solo non rinnega ma anzi ricorda con riconoscenza. Fino a questo film non poté sbizzarrirsi più di tanto con riprese o innovazioni, i copioni erano rigorosi. Con "Duel" finalmente ebbe una sorta di "carta bianca", coi soli limiti imposti dai costi e soprattutto dai tempi di realizzazione. Gli diedero 10 giorni per fare tutto. Decisero di fare le riprese in esterni, molto più realistiche ma anche più lunghe da effettuare. Si utilizzò per le straordinarie scene in movimento dei mezzi, la macchina e il terribile camion, la ormai celebre "cameracar" di "Bullitt" (1968) ed anche altre tecniche del capolavoro di Peter Yates, come i numerosi punti di ripresa della stessa scena. Nota bene: la cameracar questa volta era a 3 posti: il pilota, il cameraman Pat Hustis, e lo stesso Spielberg.
Tutte le info sono state ricavate dagli ottimi Extra presenti nel dvd della Universal, oggettino che non potevo proprio risparmiarmi di avere, tra i quali lunghe interviste sia a Spielberg che a Matheson.
C'è anche un tocco italiano in quest'opera: la locandina originale. La disegnò il pittore Mario De Berardinis.
Capolavoro imperdibile.
Robydick