In sintesi funziona, più o meno, cosi: si verificano le esigenze locali e si raccolgono e selezionano progetti di artisti o di creativi che propongono una ricaduta positiva sul territorio. I potenziali fruitori, invitati accuratamente, partecipano al pranzo organizzato come commensali con una quota minima (almeno 20 euro) e durante il pranzo, invece di acquistare pentole, ascoltano le presentazioni dei progetti e assegnano il proprio voto al progetto che preferiscono. Il numero di partecipanti, tra le 50 e le 90 persone (che già è una cosa complicata per chi non pratica food per professione) non favorisce un ricavato in grado di coprire tutte le spese per la realizzazione dei progetti, ma garantisce una fonte di finanziamento, oltre a creare una rete di contatti e a inaugurare spazi in cui la discussione e il confronto si uniscono alla convivialità.
Potrebbe funzionare per innescare processi “sociali” virtuosi?