E anche su Buzinu diventò un eroe da ricordare

Creato il 05 marzo 2011 da Zfrantziscu
Il quotidiano La Nuova Sardegna ha cominciato oggi una meritoria opera di informazione storica su “la Sardegna e l'unità d'Italia”, curata dallo storico Manlio Brigaglia. Dico meritoria per due ragioni: la prima è che la Sardegna diventa così soggetto e non oggetto; la seconda è che, forse per la prima volta su un quotidiano, si dice quel che Cesare Casula afferma inascoltato: la Sardegna è il nucleo storico dello Stato italiano. In sé, com'è ovvio, questa affermazione non comporta per la nostra Isola motivo di orgoglio o, al contrario, di depressione. Serve a sapere come è nata l'Italia politica. Nel merito, la ricostruzione fatta dal giornale sconta la sperimentata vocazione degli intellettuali unitaristi a sovrapporre le proprie convinzioni ideali alla storia. A piegare, voglio dire, le vicende storiche all'ideologia, in questo caso nazionalista di sinistra, in altri di destra. Si scrive, per esempio: “C’è una data di nascita per il Regno di Sardegna: o almeno per una delle sue ultime incarnazioni, quella che non soltanto ha un monarca (quasi) tutto suo, ma ha un re che proprio dall’isola prende nome. E’ l’8 agosto 1720. Vittorio Amedeo II di Savoia, sino a qualche giorno prima re di Sicilia, viene «costretto» dal complicato gioco diplomatico europeo a scambiarla con la Sardegna”. Ma quando mai? Il Regno di Sardegna nacque nel 1324, nel 1720 passò semplicemente di mano e tutti i re che hanno preceduto il Savoia furono re di Sardegna. Sottigliezze? Può darsi, ma perché queste approssimazioni? Forse una spiegazione è in quest'altra affermazione: “All’inizio i Savoia preferirono che non si facesse niente per insegnare l’italiano in quell’isola che non vedevano l’ora di dar via, poi si convinsero a insegnarla al maggior numero di sardi: è da quel preciso momento che la Sardegna torna ad essere un pezzo d’Italia”. Torna ad essere? Ohibò, ci fu, dunque nella storia precedente, un momento in cui la Sardegna fu “un pezzo d'Italia”? E quando? Quando, come dice Benigni, esaltato in un altro articolo del giornale, l'esercito italiano di Scipione sconfisse Annibale o quando gli italiani venuti da Roma occuparono l'Isola? Vista così, è vero: i catalani e gli aragonesi (ma prima di essi altri) interruppero la continuità della italianità della Sardegna che riprese animo quando i Savoia franco-parlanti, duecentocinquanta anni fa, imposero l'italiano nell'isola. Quando questo accadde, era ministro per gli affari di Sardegna il conte Giovanni Battista Lorenzo Bogino, nella cui persona, “la Sardegna incontra il Settecento riformatore”, scrive Brigaglia dettagliando le sue riforme. Che il Bogino fosse un riformatore, affascinato dalle idee illuministe, nessun dubbio. Si dà il fatto che i sardi dell'epoca, e delle epoche successive, avevano del Bogino un idea diversa. Sperimentarono, infatti, la sua crudeltà. Ancora oggi, per augurare ogni male si esclama “ancu ti currat su Buzinu”, ti possa raggiungere il Bogino. In verità, pare che il sostantivo “buzinu”, il diavolo, sia di più antica data dell'arrivo del conte. Ma, come si dice, omen nomen. Anche Hitler e Stalin furono a loro modo dei riformatori. Ma dubito che come tali possano essere ricordati ed apprezzati. Brigaglia, però, non è l'unico a ricordare il Bogino come riformatore. Negli anni Sessanta, intellettuali sardi innamorati della pianificazione e delle magnifiche sorti e progressive di essa, dedicarono al riformista massacratore una rivista, “Il Bogino” appunto. Il sardo-masochismo è anche questo.

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