Magazine Diario personale

E ancora mi domando se sia stato mai felice, se un dubbio l’ebbe mai, se solo oggi si assopisce

Da Iomemestessa

Post polticamente scorretto. Astenersi anime sensibili.

Son giunta alla conclusione che i vecchi mi stanno sui coglioni. E nemmeno poco. Direi abbastanza. Fors’anche molto.

Non sarà colpa loro, ma neppure colpa mia.

Comprendo che invecchiare non sia piacevole, ma, se ne rendessero conto, è l’unico antidoto sin qui reperito al morir giovani. S’accontentino. Non mi sto riferendo a quelli che son carichi di anni e di guai (fisici), ma a quelli che, a fronte di un’accettabile qualità della vita, passano l’esistenza a sfrantecartele a prescindere, così, per il gusto.

Negli ultimi due giorni, ho messo insieme tre fulgidi esempi. Considerando che il tempo che trascorro fuori dalle mura (di casa o dell’ufficio) è pressochè nullo, mi sento legittimata ad asserire che i vecchi mi stanno sulle palle.

Terzo classificato il nonnino con l’auto.

Età indefinità. Sui settanta se li portava male. Sugli ottanta se li portava bene. Panda (vecchio modello) dotato. E’ pur vero che quando vedi il pensionato con la Panda un po’ di timore è d’obbligo, ma vabbé. Io abito a fianco di un ufficio postale. Son disgrazie, credete a me. Lunedì. Ore 8.10. Esco (con la mia macchinina) dal garage. Svolto in cortile e, sorpresa sorpresona, c’è la cazzo di panda sul cancello. Non sarebbe uscita neppure una bici. Decido che la vita è troppo breve per incazzarmi di continuo, e scendo dal mezzo. M’avvicino all’ufficio postale dove una torma di vecchini giace in coda (inciso, l’ufficio apre alle 8.30 e questi, che non c’hanno un beato cazzo da fare, son lì alle 8.10) e chiedo, con cortesia (davvero, con cortesia) ‘la Panda sul cancello è di qualcuno?’ Si volta un ringhioso che abbaia ‘Mia perchè?’ ‘Perchè io dovrei uscire e non riesco, se può gentilmente spostarla’ ‘Io sono in coda. Non perdo mica il posto per lei.’ ‘Forse non mi sono spiegata bene. Non riesco a uscire da CASA MIA, perchè la SUA PANDA mi blocca il passaggio.’ Altra vecchia presente, che decide di non poter fare a meno di farsi i cazzi degli altri: ‘Voi giovani avete sempre fretta. Non può aspettare che il signore faccia quel che deve fare, e poi vada via’ ‘Vede signora, noi giovani abbiamo fretta di andare al lavoro. Sa quella cosa per la quale versiamo all’INPS quei contributi indispensabili a pagare le VOSTRE pensioni. E, se il signore non leva la sua macchina dai piedi entro 30 secondi, chiamo i vigili e un carro attrezzi e gliela faccio rimuovere. Più chiaro ora?’ Il vegliardo, in un turbinio di bestemmie all’indirizzo mio, leva il mezzo dai coglioni.

Seconda classificata, la vecchina del CUP.

Martedi ore 14. Trascino le mie stanche chiappe al CUP prima di andare al lavoro e dopo aver fatto, in un’ora una quantità di cose degne di miglior causa. Per evitare la solita coda epocale, passo alle 13.45, e stacco il numeretto. Poi mi tiro al bar a bere un caffè (che sarebbe la mia pausa pranzo) e ad attendere le 14, orario di apertura. Alle 14, mi seggo sulle panchette e attendo la chiamata. Passano due o tre tizi, poi arriva il mio turno. Una vecchia dalla faccia incazzata a prescindere, mi urla: ‘E lei dove crede di andare?’ M’astengo dal rispondere a trombarmi l’addetto, e senza parlare le mostro il numeretto, che rappresenta l’inequivocabile prova del fatto che lei è, senza e senza ma, dopo di me. Entro in un contorno di urla al mio indirizzo, che va dal ‘Non si fa così’ ‘Facile venir prima, prendere il numero e andar via’ e cazzate assortite. Decido di ignorarla, sempre più convinta del fatto che la vita è troppo breve. Esco dalla saletta delle prenotazioni e ricomincia la solfa. Lì mi incazzo. Perchè dopo un po’ anche basta. E le acclaro che: ‘il numero è quello che fa fede, se voleva passare prima aveva solo da venire prima.’ Lei continua a berciare al mio indirizzo mentre un signore sui cinquanta si rompe le palle, la guarda e le fa: ‘La signora è pure troppo educata, perciò glielo dico io, la pianti di rompere i coglioni e stia zitta’. L’avrei baciato, per dire.

Prima classificata, dopo aver sbaragliato ogni possibile concorrenza. La vecchina del parcheggio.

Stamane. Ore 8.20, sotto il diluvio universale, trovo parcheggio davanti alla casa di fronte all’asilo nanesco. Una sorta di miracolo divino. Scendo per scaricare la nana. Una vecchia dalla finestra al pian terreno mi inveisce: ‘Tu non puoi parcheggiare lì’ Per un attimo vacillo. Poi realizzo che: il parcheggio è regolare, entro le linee peraltro bianche (gratuito, ho trovato un parcheggio gratuito), senza nemmeno disco orario, e non è in alcun modo legato alla palazzina il cui parcheggio e ingresso carraio sono nella via d’angolo. Faccio finta di niente, sperando che la vecchia faccia altrettanto. Oltretutto piove e ho una fretta boia. Mi riurla: ‘Tu non puoi parcheggiare lì’. ‘Perchè?’ ‘Perché deve parcheggiarci mia figlia che viene a portare mia nipote.’ ‘Guardi che questo è un comunissimo parcheggio comunale. Né mio né suo. Detto questo, cinque minuti e me ne vado’. ‘Ti ho detto che la macchina non puoi lasciarla lì, siete dei giovani senza rispetto per gli anziani, dei maleducati, noi abbiamo lavorato una vita per voi e adesso ci ripagate così. Vattene’. Lì mi rompo ufficialmente le palle. ‘Dunque, io giovane non sono più da un po’ di tempo. Lei mi fa il favore di darmi del lei, come sto facendo, perchè non siamo amiche, nè conoscenti e neppure abbiamo mai bevuto un caffé insieme. Questo per il rispetto e l’educazione. Quanto al lavorare, mi perdoni, ma voi avete lavorato per noi e noi stiamo lavorando per voi. Non è un favore. E’ una ruota che gira. La macchina la parcheggio dove meglio credo, nel rispetto del codice della strada. E, a questo punto, visto che posso, non solo non la tolgo, ma la lascio lì a marcire tutta la mattina e al lavoro ci vado a piedi (che non è manco lontano, detto tra noi). ‘

Sono entrata, ho lasciato la nana, e sono uscita, accolta da una nuova valanga di improperi. La macchina l’ho lasciata lì. Se mi trovo le gomme tagliate o la carrozzeria finemente intagliata con tanti bei cazzetti, vi faccio sapere.

Resta il fatto che io, i vecchi, non li tollero più. E ho deciso anche di smettere di fare finta. Questi non fanno tenerezza. Quasi mai. Questi sono come Olindo e Rosa. Con l’aggravante che sono pure a piede libero.


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