Lo sarebbe stato se si fosse trattato di un maschietto, ma è una gattina.
Gelsomina l'abbiamo trovata in strada giovedì scorso, mentre stavamo andando al lavoro.
Era rannicchiata vicino a un cancello, e quasi non riusciva a muoversi.
Si vedeva che stava risparmiando le forze. L'atteggiamento che assumono tutti, animali e cristiani, quando sentono che non gli resta molto.
Non potevamo lasciarla lì. A prescindere. E men che meno dopo che, due giorni prima, ci avevano ammazzato di fronte un micino poco più grande di lei, investendolo e lasciandolo lì ad agonizzare. Ho pianto tutto quello che potevo piangere. E quando ho visto la creaturina vicino al cancello ho deciso, e il mio compagno con me, che lei non avrebbe fatto la stessa fine.
Con l'aiuto di una mia collega l'abbiamo portata da un veterinario. Lì abbiamo scoperto che si trattava di una gattina, e che aveva una brutta frattura al bacino e all'osso pelvico al momento non operabile perché era una micina troppo giovane. Abbiamo scoperto pure che nonostante le sue condizioni era vivace e affettuosa. Quando il mio compagno le ha fatto una carezza ha chiuso gli occhi e ha fatto le fusa.
Abbiamo deciso di adottarla. E' rimasta in osservazione per due giorni e sabato mattina l'abbiamo portata a casa.
Siamo due "genitori" molto inesperti, visto che nessuno dei due ha mai avuto un gatto in casa. Ma facciamo del nostro meglio.
Seguendo il consiglio del veterinario le abbiamo fatto una cuccia nel nostro piatto doccia, perché deve stare a riposo assoluto e quindi deve stare in uno spazio limitato. Cosa necessaria, perché ha l'argento vivo addosso. Ogni mattina farsi la doccia è un casino, ma abbiamo messo a punto una procedura che funziona bene: mentre uno è sotto la doccia l'altro la tiene in grembo e le fa le coccole, e fra docce, asciugare tutto fino all'ultima stilla d'acqua e riallestire la sua cuccia con giornali, lettiera, ciotole, tappetino per dormire e tiragraffi ci vuole meno di un'ora.
Nel frattempo lei sta in grembo e passa le mezz'ore a fare la pasta. Ama soprattutto farla al mio compagno, che sembra piacerle moltissimo: gli sta attaccata addosso con aria beata e lui è un fiero mammogatto. Quando lui è impegnato, io tenendola in braccio le faccio una specie di culla con una sua vecchia maglietta e Gelsomina è tutta contenta.
E' meno contenta quando dobbiamo rimetterla nel box doccia: miao, miao, miao, con un tono che ti spezza il cuore. Ma si deve pur andare al lavoro. E visto che si tratta della malefica Urbe, stiamo fuori di media dieci ore e passa, causa trasporti, straordinari eccetera. Ma rimediamo al ritorno con una megadose di coccole. Visto che il nostro bagno è cieco (belli, i miniappartamenti di città), e che non possiamo tenere alzate le serrande delle finestre disponibili nelle altre due stanze causa elevato rischio di furti, le abbiamo comprato una lampada a luce tenue che le lasciamo sempre accesa. Per farle sentire un po' meno la solitudine nella sua casetta c'è un asciugamano morbido che abbiamo ben manipolato perché ci restasse il nostro odore. Non è un granché, ma come dice il mio saggio amato bene, certo è meglio così che starsene ferita in mezzo a una strada. E alla mancanza di sole suppliamo, sempre dietro consiglio del medico, con qualche goccia di vitamina D. Dargliela è facile, perché scambia il contagocce per un capezzolo e ci si attacca.
Gelsomina comunque pare star bene. Mangia con grande appetito, cerca sempre di giocare e, sempre per citare il mio facondo e immaginifico amato bene, ronfa continuamente con toni da motore d'aereo.
Io quando la tengo in grembo e lei fa le fusa provo una sensazione strana, bella e che mi mette persino un po' paura. Non capisco bene di che si tratta ma è emozionante. Anche il mio compagno di casa e di vita pare assai emozionato.
So che fra i miei gentilissimi lettori vi sono parecchi gattari. Se voleste darci dei consigli, noi saremmo tanto tanto grati.
Vado a fare due coccole a Gelsomina.
Un sorriso a tutti voi.