E CHI NON BEVE CON ME, PESTE LO COLGA...! di marcello de santis

Creato il 13 marzo 2015 da Signoradeifiltriblog @signoradeifiltr

Voglio cominciare questo saggio riportando per esteso un "pezzo di vita" che fa parte di una mia plaquette in prosa, ancora inedita, che è molto significativo al riguardo. Lo riporto anche con quelle poche frasette in tiburtino, (disseminate qua e là), il dialetto della mia città, allora ancora paese, facilmente fruibili (per ogni evenienza ne riporto la traduzione in italiano):

... tappa obbligata, per me e fratimu micchittu (mio fratello piccolo), pure se mamma e papà continuavano a camminare su a corzereno, (via colsereno) erano "li quadri del giuseppetti, al trevio (i quadri del cinema).

Là ci fermavamo a immaginare, attraverso essi, le scene del film in programmazione; a volte anche papà si fermava, specialmente se era un film di indiani o uno di quelli strappalacrime con Amedeo Nazzari e Yvonne Sanson, per esempio Catene; si fermava allora pure mamma, e vedevo la sua mente immaginare le scene più drammatiche del film; quando faceva tappa pure lei mi s’accendeva in cuore la speranza: ci andiamo!
... papà Decio ci provava quasi sempre, pure se talvolta era tardi; deviava nel breve vicolo dov'era la sala cinematografica, e all'uomo dei biglietti (papà era conosciutissimo e benvoluto da tutti grazie alla sua dedizione ai malati, facendo l'infermiere/amico di tutti al locale ospedale) domandava: “se fa in tempo?” e quello, “vai, Decio, entréte, ‘nte proccupa’…” (entrate pure, non ti preoccupare); e quasi sempre quel giovanotto, “no’ lli fa li bigghietti, Decio… è guasi fenitu...” (non li fare i biglietti Decio, è quasi finito); e non era vero…
Per cui quando lui si fermava davanti ai quadri, il cuore mi batteva forte; i miei nove/dieci anni azzardavano un "papà, ciannàmo? - ci andiamo?", o era lui che diceva a mamma: “nanna, te va? me sa che è bellu!”, mamma non diceva mai di no; se rispondeva di sì, prendevo a correre sopr’alli sérgi co lli tacchitti co la mezzaluna de ferittu, che faceanu le lure (sopra l'acciottolato della strada fatta di sampietrini con i tacchetti di ferro delle scarpe, i cosiddetti ferretti fatti a mezzaluna, che battendo sui sampietrini facevano le scintille) ed ero il primo ad arrivare davanti alla porta del cinema; entravo subito nella grande sala della biglietteria per soffermarmi a lungo sui tanti cartelloni dei film che sarebbero seguiti in altri giorni.

Arrivavano poi papà e mamma con Renato per mano (mio fratello più piccolo, aveva sei-sette anni) e si entrava in sala tutt'insieme.
Papà qualche volta però s’avvicinava alla cassa e faceva ugualmente i biglietti, (noi piccoli, eravamo piccoli, e non pagavamo ancora).
Quando invece non rispondeva alla mie parole “papà annàmoci, è propriu bellu, me l’à dittu ‘ncompagnu meu de scola che l'à vistu” (non era vero…) e continuava a camminare sottobraccio a mamma parlando dei fatti loro, ci rimanevo male da morire “stasera no” categorico; “ma te dico che è bello, dài…” “no!”.
M’ammusea... m‘arabbiéa subbitu (mettevo su il muso, m'arrabbiavo...)
Non correvo più, andavo dietro a loro a testa bassa, non vedevo l’ora che arrivassimo al pratosangiovanni, (dov'era casa nostra, una vasta distesa con poche case in fondo, subito fuori la porta sangiovanni) dove, al buio, potevo mascherare il mio dispiacere. Mi mettevo subito a letto, accendevo la radio, abbassavo il volume; e ascoltavo, senza sentire, fino a che arrivava “siparietto, a cura di nicola adechi…” e mi calmavo al suono di quella bellissima voce; il mio rancore ingiustificato s’ammorbidiva nel profumo dei sogni che fluttuava nel buio sotto la coperta…
Ma torniamo alla frase celebre che ho messo nel titolo:
... chi non beve con me peste lo colga!... che è passata alla storia del cinema.
A pronunciarla, la frase, fu un grande attore italiano che all'epoca - siamo nel 1941 - e per molti anni ancora, fu ai vertici del cinema italiano. Il suo nome è Amedeo Nazzari, affascinante, bello. E i più giovani e i giovani che non lo conoscono e non lo hanno conosciuto, non possono certo negare, guardando la foto posta più sopra, quanto ho appena detto, nevvero?
Interpretava il personaggio di Neri Chiaramantesi, nella Firenze dei Medici rappresentata con ottimi effetti e costumi dal regista Alessandro Blasetti nel film La cena delle beffe.
Io, quando uscì il film, avevo appena due anni, e chiaramente non l'ho visto, ma più tardi ricordo di aver assistito a tutti o quasi i film di questo grande attore, che quando girò la pellicola aveva già 34 anni, non era quindi giovanissimo. Pare di stare ai tempi nostri, dove gli attori moderni di vent'anni e anche meno sono già dei veterani dello schermo, non so con quanto talento e con quanto merito.
Però anche di questo film, molto più tardi, forse verso i sedici/diciott'anni, ne debbo aver visto - c'era ormai la tivu che di tanto in tanto cominciava a riproporre vecchie pellicole - almeno degli spezzoni; e senz'altro debbo aver gustato e memorizzato la famosa frase: ... e chi non beve con me, peste lo colga!
Ricordo i vari pomeriggi, sul tardi, dopo aver studiato, in giro per il paese coi miei compagni di liceo ripassavamo a voce alta la lezione per l'indomani ascoltando e integrando quello che ognuno di noi ripeteva. E quasi sempre per un motivo o per l'altro, o anche senza alcuna ragione, semplicemente per smorzare la tensione che si creava, ci scappava da parte mia o degli altri, la frase ... e chi non beve con me, peste lo colga!
Era diventato, usando un termine di oggi, un tormentone!
Ma ormai era tardi per la nostra gioventù, per poter amare gli attori di quegli anni, che per noi erano già sorpassati; cominciavano ad arrivare i film di cowboy e indiani, di Stanlio e Ollio, di Gianni e Pinotto; e gli eroi americani, da Gary Cooper ad Alan Ladd, da James Stewart a Tyron Power; e le belle attrici.
Quelle che ci rimanevano impresse erano non tanto "quelle brave", che forse ancora non comprendevamo a fondo la bravura di un artista, ma le prosperose e sensuali: da Jane Mansfield, a Rita Hayworth, alla dolcissima affascinante Marilina).
Qui le attrici nostrane, e in quel film "La cena delle beffe" alcune veramente brave erano state riunite, qui da noi, dicevo, colpivano di più se facevano piangere i nostri genitori; con le loro storie romantiche o drammatiche, per esempio. E giustamente i loro nomi sono rimasti nella storia del cinema.
Ricordate? Nel film in questione oltre a Nazzari c'era il grande Osvaldo Valenti; e tra le protagoniste femminili il meglio del tempo: Luisa Ferida, Clara Calamai, la donna del primo nudo sullo schermo, Valentina Cortese, giovanissima, aveva solo 19 anni; e la "in seguito divenuta" grandissima" Lilla Brignone.
Torniamo ad Amedeo Nazzari.
Nella vita doveva fare l'ingegnere; gli studi per diventarlo li aveva intrapresi, e lo sarebbe diventato se la passione per il teatro non lo avesse rubato a questa professione. Veniva da una famiglia agiata, lui era nato in Sardegna dove il nonno materno, da cui poi prese il nome d'arte, era un magistrato che agiva a Vicenza, e che a Cagliari fu trasferito con tutta la famiglia.
Aveva appena sei anni quando gli morì il padre; la madre decise di trasferirsi a Roma, dove Amedeo studiò in un collegio. Studia e comincia a recitare, in rappresentazioni scolastiche; poi col tempo - lasciati definitivamente gli studi universitari - si dedica al teatro e lo affronta come unico scopo della sua vita.
Qui diciamo solo del suo esordio come attore professionista: avviene nell'anno 1927; e non nel cinema, ma in una compagnia teatrale; cui seguiranno altre compagnie più importanti.
Amedeo ha solo vent'anni, ma la sua prestanza fisica e la sua voce calda e profonda lo fanno notare subito al pubblico. Fece anche dei film, agli esordi, e anche di un certo successo, questo va detto; ma noi preferiamo fare un salto in avanti per arrivare direttamente al'anno 1941, al film per eccellenza, per lui, ché ne decretò la notorietà:
La cena delle beffe,
di Sem Benelli.
- e alla famosa frase ... e chi non beve con me, péste lo cólga!, dove il suo accento spiccatamente sardo ne accentuava la drammaticità;
- alla famosa scena del seno nudo di Clara Calamai (pochi secondi appena che scatenarono le ire e i fulmini della Chiesa e il "vietato ai minori di 18 anni" "imposto" dalla censura sui quadri del film);
- e infine alla presenza tra i protagonisti di due attori Valenti e Ferida - amanti nella vita, (cosa anche questa da scandalo).
Il 1949 è l'anno più importante per la carriera dell'attore. Viene chiamato dal regista Raffaello Matarazzo come attore principale per un film che ha in programmazione. Amedeo accetta, e resta in attesa che si trovi l'interprete femminile. Eccola alfine: è una stupenda ragazza di poco più di vent'anni, sconosciuta ai più, con un fisico statuario dalle forme prorompenti; si chiama Yvonne Sanson, ed è arrivata a Roma dalla Grecia dove è nata. Ha al suo attivo una sola pellicola, un film drammatico al fianco del grande Aldo Fabrizi, girato a Roma, dal titolo: Il delitto di Giovanni Episcopo, tratto da un'opera di Gabriele D'Annunzio, sotto la direzione di Alberto Lattuada. Lattuada aveva notato questa giovane bellissima, dotata di un fascino che lo aveva profondamente stregato, e la vuole nel suo film. Film che, va detto, ha un buon successo di critica e di pubblico. E dunque, Yvonne sarà l'interprete femminile del film di Matarazzo; si intitolerà "Catene"; il partner, come detto, scelto già dal regista, è Amedeo Nazzari. "Catene" sarà, pensate, il film più visto dagli italiani nei due anni 49 e 50.
Amedeo Nazzari viene chiamato per un film dopo l'altro, è l'attore del momento, e con lui Yvonne Sanson. Tanto è il successo conseguito da Catene, che nascono uno appresso all'altro "Tormento", uscito l'anno successivo (i soggettisti sono gli stessi di Catene, uno è Gaspare Di Maio; indovinate chi era l'altro? Ma sì, il poeta napoletano Libero Bovio); nel 51 i due girano l'ennesimo dramma, "I figli di nessuno", e l'anno seguente "Chi è senza peccato". Tutti con la direzione dello stesso regista Raffaello Matarazzo.
Il successo è impensabile, la gente corre ai botteghini e le sale straripano addirittura. Allora si facevano spettacoli uno appresso all'altro, si cominciava dalle tre del pomeriggio e si andava avanti senza interruzioni fino a mezzanotte e oltre; tra l'una e l'altra proiezione qualche breve presentazione, i famosi "prossimamente sui nostri schermi", e la solita Settimana Incom, il Cinegiornale d'attualità e informazione settimanale, dieci minuti circa di notizie con servizi interessantissimi. La ricordate?
E quanti, quanti spettatori! Fuori delle sale e all'interno, davanti della biglietteria, c'era costantemente la fila, molti in attesa per entrare al momento dell'inizio del film, ma la gran parte per entrare subito, e basta. E quanta gente restava in piedi per tutti e tre gli spettacoli. Alla fine si vedevano all'uscita le donne con gli occhi rossi e i fazzoletti in mano o ancora sul viso. E a casa il giorno appresso non si faceva altro che parlare del film, raccontare la trama a chi ancora non c'era stato, descrivere le mosse, le azioni, le scene più tragiche della narrazione.
Vennero ancora "Torna" nel 1953 e "L'angelo bianco" del 55. Per finire la serie con "Malinconico autunno" uscito tre anni dopo.
Amedeo e Yvonne dominarono la cinematografia italiana nel decennio 1949-1959, lui con lo sguardo ammaliatore e lei con la sua caratteristica acconciatura che portò in diversi film, in cui si presentò quasi sempre come una moglie appassionatamente innamorata del marito, o una madre che si fa monaca per pagare il fio delle sue infelici azioni, o una donna che per salvare il proprio uomo non esita a tradirlo. Una serie di film con tratti a tinte fosche, melodrammi che non potevano essere se non a lieto fine, inneggiando alla vittoria dei buoni e alla sconfitta dei cattivi. Pensate: questi dieci film complessivamente ebbero circa quaranta milioni di spettatori.
Yvonne Sanson girerà altri film, altri ne aveva girati anche prima dei melodrammi all'italiana appena ricordati; erano quelli anche film d'autore, come si dice; lavorò infatti con Alberto Lattuada a fianco di Renato Rascel ne "Il cappotto", con Rossellini, con André Cayatte, con Dino Risi, per nominarne solo alcuni; ma non ebbero, i film, - almeno per la visibilità e la fama - il successo della serie "Catene e c."; forse perché non aveva più al suo fianco il grande Amedeo? Ed è per questo che la sua stella ha smesso di brillare nel cielo della filmografia italiana? Fatto sta che gli anni 70 segnano la fine per i due artisti.
Yvonne muore a Bologna, dove si era ritirata da anni e dove viveva vicino alla figlia Gianna, a seguito di un aneurisma; è l'anno 2003; ha 77 anni.
Segue il suo partner col quale ha diviso i più grandi successi della sua carriera per un lungo decennio pieno di gloria e di soddisfazioni, dopo quasi 25 anni dalla morte di lui.
Una nota necessaria, che nessuno sa (o forse soltanto i cinefili): Yvonne Sanson recitava con la voce di una giovane attrice e doppiatrice italiana, che risponde al nome di Dhia Cristiani.
Yvonne Sanson fu la donna più amata degli italiani, più delle due maggiorate per eccellenza Sofia e Gina (la Loren e la Lollobrigida), ma ciò non bastò a ripetere il successo dei film d'amore e di passione girati al fianco di Nazzari.
Effettivamente formavano una coppia ormai collaudata e insuperabile.
Una cosa non ho detto, se il pubblico non lesinava la sua approvazione per queste storie, la critica fu davvero amara per i due attori e ancora più per i film; fu distruttiva; stroncava i film ad ogni uscita; li descriveva come fotoromanzi trasportati su pellicola, a dispetto dell'immenso successo commerciale.
Amedeo Nazzari dal canto suo, che agli esordi aveva girato molti film in divisa, (la divisa che ne esaltava il fisico da atleta e il suo indubbio fascino) continua ad avere offerte di lavoro; ma pure ad essere scomodo per la produzione, ché vuole sempre intervenire nella sceneggiatura per cambiare dialoghi battute e scene, che lui ritiene non adatte al suo personaggio.
Lavora con registi importanti, accanto ad attrici famose e bellissime, ma comincia ad avere forti delusioni dal suo mondo; doveva girare il Gattopardo, ma il ruolo del principe di Salina viene affidato a Burt Lancaster (per ottenere finanziamenti americani), salta anche il rifacimento de La figlia del Capitano (che lui aveva girato tanti anni prima) per il ruolo principale del quale viene scelto un altro attore americano, Van Heflin.
Rifiuta infine di lavorare a fianco di Marilyn Monroe, in un ruolo che poi sarà assegnato ad Yves Montand.
Sentite come racconta la cosa lo stesso Nazzari: è l'anno 1965.

Lo intervistano:

"perché non sono mai andato a Hollywood?
Migliaia di persone me l'hanno chiesto. Eccolo lì, dicevano, il divo locale
che non vuole giocare la sua gloriuzza sulla grande roulette americana....
... niente di tutto questo, sono sardo tradizionalista,
un po' pigro, mi piace vivere come voglio...
... a Hollywood ci sono andato ver
amente... nel 1959,
io e Irene (la moglie Irene Genna) ci siamo divertiti moltissimo;
ho incontrato tutti i miei idoli... a una festa mi si avvicinò un tale della Fox,
e mi fece questo discorso: signor Nazzari, perché non si stabil
isce da noi?
Stiamo preparando un musical per Marilyn Monroe,
ci manca il protagonista maschile, passi domani nei nostri studi e ne parliamo.
D'accordo, domani pomeriggio, risposi sforzando un sorriso.
Poi Irene ed io corremmo in albergo, facemmo i bagagli
e alla svelta prendemmo il primo aereo per
l'Europa...

Ma siamo già verso la fine degli anni 60, quando la sua stagione di gloria è finita; si sta affermando un altro genere di film, la commedia all'italiana; e per i film passionali non c'è più spazio. Pian piano, sentendosi un intruso in mezzo a tanta compagnia, si tira indietro; per rispetto, afferma, del suo pubblico.
Qualche soddisfazione gli viene solo dalla televisione; fa apparizioni come ospite d'onore, fino alla partecipazione a "La donna di Cuori" diretta da Leonardo Cortese, nella miniserie "Squadra Omicidi tenente Sheridan" (1969) per Raiuno.
Sempre nel 1969 la RAI gli dedica uno spazio in prima serata in cui si ripropongono tutti i suoi film d'amore girati insieme alla sua grande partner Yvonne Sanson. Il programma a cura di Gian Luigi Rondi riottiene il grandissimo successo ottenuto negli anni cinquanta, con uno share, allora si chiamava indice di ascolto, altissimo.
Amedeo Nazzari è malato, soffre di insufficienza renale, è costretto ripetutamente a ricoveri in ospedale a Roma; qui muore il 6 novembre 1979.

marcello de santis

E chi non beve con me...

Uploaded by novecentomilanon on 2011-05-28.

https://www.youtube.com/watch?v=lLHaqJScBA0


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