E’ davvero il nuovo, quello che avanza?

Creato il 11 dicembre 2013 da Propostalavoro @propostalavoro

La vittoria di Matteo Renzi, alle primarie del PD, potrebbe aprire nuovi possibili scenari nel mondo del lavoro italiano, se, come sostengono gli addetti ai lavori, Renzi potrà vincere le prossime elezioni (un se molto gosso, tenendo conto delle peculiarità della politica italiana).

Come avete potuto leggere nell'articolo di Alessia, nel discorso rilasciato subito dopo la vittoria, il neo segretario del PD ha espresso quelli che saranno i capisaldi del suo programma sul lavoro: meritocrazia, riforma dei Centri per l'Impiego, incentivi per assunzioni a tempo indeterminato, rilancio dell'occupazione dai giovani agli ultracinquantenni.

Fin qui, insomma, nulla di nuovo, però: la riforma dei Centri dell'Impiego è invocata da più parti, dal Movimento 5 Stelle e da Sel; gli incentivi per le assunzioni a tempo indeterminato sono stati i cavalli di battaglia degli interventi in materia di lavoro degli ultimi due Governi (Monti e Letta), con risultati assolutamente insufficienti. Il rilancio dell'occupazione e il tema della meritocrazia sono strombazzati praticamente da tutti i partiti ad ogni nuova tornata elettorale, ma alle tante promesse non sono mai seguiti i fatti.

Tante buone intenzioni, condite dalle solite banalità: basteranno? Chissà, ma le premesse, intanto, ci danno qualche indizio. Non bisogna dimenticare, infatti, che Renzi è un fan delle teorie di Pietro Ichino, tanto che, alle precedenti primarie del Partito Democratico, aveva inserito l'ex compagno di partito nella sua squadra e ne aveva ampiamente sponsorizzato le teorie: flexicurity, contratto d'ingresso – apprendistato – a tutele crescenti e formazione continua. Il sindaco di Firenze, inoltre, non può certo essere definito un sostenitore dell'Articolo 18, anzi: in un'intervista, infatti, dichiarò "dello Statuto dei Lavoratori non me ne può fregar di meno". Insomma, un altro che vota per il lavoro flessibile.

Eppure, la realtà di questi ultimi anni avrebbe dovuto insegnare qualcosa al nuovo segretario del PD: la flessibilità, in Italia, è inattuabile, perchè genera squilibri, sia al livello di reddito che di turnover generazionale, che il nostro Paese non riesce a sopportare. Quella che Renzi chiama flessibilità, è in realtà precariato che schiaccia verso il basso gli stipendi dei lavoratori (e fa colare a picco anche consumi ed entrate fiscali, in una spirale perversa) e rende più conflittuale il ricambio generazionale, dato che le aziende cercano di liberarsi dei lavoratori con più anzianità (più tutelati e costosi), in favore dei più giovani (meno tutelati e più economici).

Problemi che nascono, soprattutto, a causa di un sistema sociale immobile e fortemente sproporzionato, dove la forbice tra i redditi più alti e quelli medio-bassi, anche per colpa della crisi, si fa sempre più larga, cosa che impedisce la selezione meritocratica nei posti chiave del sistema Paese, da anni in mano al clientelismo più sfacciato.

Per risolvere il problema, occorrerebbe una coraggiosa e drastica politica di redistribuzione del reddito, su cui, però, Renzi si è sempre mostrato titubante, tanto da non aver mai dato un preciso appoggio a proposte come, ad esempio, la patrimoniale, ovvero la tassa che, nell'idea di alcuni, dovrebbe colpire i più ricchi.

Viene, quindi, da chiedersi come il rottamatore abbia intenzione di applicare la tanto invocata meritocrazia, se non ha intenzione di livellare le differenze sociali, in modo da permettere, se non a tutti, almeno alla maggior parte degli italiani, di avere le stesse possibilità.

Insomma, il buon (?) Renzi, nonostante tutti i suoi discorsi di rinnovamento, sembra proprio intenzionato a percorrere strade già battute da altri (certo, in tempi e con modi diversi). Visti i risultati deludenti ottenuti finora, speriamo non sia questo "il nuovo che avanza".

Danilo


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