E fieramente mi si stringe il core, A pensar come tutto al mondo passa, E quasi orma non lascia. [Il giovane favoloso]

Creato il 06 novembre 2014 da Achiara84 @madamaAly

Finalmente.

Un film italiano che vale la pena, finalmente l’emozione di un poeta come Leopardi portata sullo schermo dalla bravura di un attore.

Elio Germano è un Leopardi perfetto, ironico, malinconico, sempre più ingobbito ma sempre più ‘aulico’.

Mischiando la musica classica di Rossini, con sonorità moderne, la colonna sonora segue la vita di Giacomo Leopardi, dall’adolescenza e prima giovinezza a Recanati, trappola di noia e malinconia, a Firenze, a Roma, a Napoli. Attraverso un’Italia divisa ma mossa dal desiderio di essere una. Segnata dai primi giudizi del ‘nord’ verso il ‘sud’.

La prima parte, un’ora abbondante, è dedicata a Recanati, allo “studio matto e disperatissimo” che il padre Monaldo imponeva ai figli, al rapporto con la madre anaffettiva, all’affetto che lega i fratelli e che non basta a consolarli della clausura forzata.

E si conclude con l’Infinito. In una splendida interpretazione di Germano.

Il salto di 10 anni, ci porta a Firenze, nel rapporto di Leopardi con Antonio Ranieri, che sarà la sua forza e le sue ‘gambe’.

Il rapporto con Fanny, e il confronto con gli intellettuali fiorentini, che giudicano pericoloso il suo ‘pessimismo’, rovinoso per la rivoluzione che auspicano.

E dopo un breve passaggio da Roma, arriviamo a Napoli, con l’epidemia di colera, e il carattere di Leopardi che si guasta sempre più, per le sofferenze e per la rassegnazione.

Tratto narrativo forse prolungato più del dovuto, quello di Napoli porta una esplosione di colore e di buonumore, di ottimismo, ma forse non è proprio così.

E il film si chiude con La Ginestra, più superba ancora dell’Infinito, Elio Germano rende tale pacata rassegnazione al destino in modo sereno, ma allo stesso tempo forte.

Sono andata a vedere questo film piuttosto carica di aspettative. Come si può non esserlo con Leopardi?

E ne sono uscita più soddisfatta di quel che pensavo. Perché, tranne per la lentezza di Napoli, questo film fa uscire Leopardi dalla storia “vecchia” e lo fa entrare di diritto nella modernità, con le sue idee più rivoluzionarie della rivoluzione: come si può concepire la felicità delle masse, se le masse sono fatte di individui infelici?

E il cinema italiano potrebbe trovare una strada e risorgere. Potrebbe.

Ma mi sento leopardiana, in questo.


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