Greystone, il suo giardino nell’Oxfordshire, è dunque, con le debite proporzioni, l’erede dei grandi giardini filosofici del passato, come quello di Epicuro o di Erasmo da Rotterdam.
“Alcune delle idee contenute nel Lost Garden fanno ormai parte della nostra visione del mondo; in piena era positivista, però, suonavano assai all’avangliardia: la solitudine dell’uomo-massa, la proliferazione di quegli spazi che l’antropologo francese Marc Augé chiama «non-luoghi della surmodemità», il nomadismo dell’individuo moderno.”
Sappiamo poco di questo islandese misterioso e solitario nato nel 1837 che lasciò il suo paese molto giovane per visitare i famosi giardini dell’Italia e della Francia. Si sarebbe in seguito stabilito in Inghilterra, dove costruì il suo “giardino selvaggio”. Nel 1912, alla fine della sua vita, De Précy scrisse questo piccolo libro che è molto più di una riflessione sul rapporto uomo-natura o di un trattato tecnico per giardinieri. In questo pamphlet ha esposto le sue idee sui giardini, ma anche le sue osservazioni sui cambiamenti sociali di un’epoca, sull’urbanizzazione e sul degrado del paesaggio.
Précy rivela a poco a poco la sua visione del mondo: come ricongiungerci con la natura, come capire e rispettare lo spirito di un luogo, abitando il mondo da poeti. Perché Il giardino è forse l’unico spazio che può salvare l’uomo dai flagelli moderni…
E il giardino creò l’uomo
Un manifesto ribelle e sentimentale per filosofi giardinieri
Jorn De Précy
a cura di Marco Martella
(traduzione di Laura De Tomasi)
Ponte alle Grazie
2012