È il momento peggiore per “litigare”

Creato il 15 settembre 2014 da Libera E Forte @liberaeforte

di Giovanni Palladino

Nel discorso fatto al Sacrario di Redipuglia, per onorare i caduti nella prima guerra mondiale, Papa Francesco ha detto che siamo ormai arrivati alla terza guerra mondiale “combattuta a pezzi”. E ha accusato chi, dietro le quinte, ha interesse che la guerra si estenda per vendere più armi.

Ma in realtà gli interessi in gioco sono molto più grandi, perché diversi poteri forti negli Stati Uniti puntano a una estensione della guerra per salvare il dollaro e l’economia Usa. Tuttavia questo ragionamento si fonda su una esperienza storica, che oggi non è più ripetibile, perché è in un clima costruttivo di pacifica integrazione economica (e non di divisione) tra l’Ovest e l’Est che possiamo salvarci tutti, anche per combattere uniti – insieme al mondo arabo – il “cancro” del terrorismo. Quei poteri forti non si rendono conto che l’enorme debito interno ed esterno degli Stati Uniti impedisce al dollaro di essere considerato un valido “rifugio” come nel passato.

È noto che, grazie all’ingresso in guerra nel dicembre 1941, gli Stati Uniti poterono superare la Grande Crisi scoppiata nel 1929. E con l’accordo di Bretton Woods (luglio 1944) il mondo libero fece l’errore di dare al dollaro il ruolo di moneta di riserva e di pagamento internazionale. Questo accordo fu subito criticato da Luigi Sturzo, che riteneva pericoloso e improprio assegnare tale ruolo a una moneta nazionale, il cui Governo – fra l’altro – si impegnava a garantire ai possessori esteri di dollari il rimborso in oro al prezzo fisso di $35 per oncia.

La storia ha poi dimostrato che questo privilegio è stato mal gestito dagli Stati Uniti con la politica del dollaro “facile”, che trasformò in poco più di due decenni lo zio Sam da grande creditore a grande debitore nei confronti dell’estero. Così il 15 agosto 1971 Nixon fu costretto a dichiarare la inconvertibilità del dollaro in oro, decisione che poi causò un primo forte rincaro delle materie prime (petrolio in testa) e grande instabilità negli anni 70 a livello politico, economico e finanziario.

In seguito il ruolo improprio del dollaro non fu corretto e il sistema monetario internazionale continuò a reggersi sul dollaro “imperiale”. Tutti i creditori esteri lo accettavano, fidandosi della forza economica, politica e militare del Paese leader a livello mondiale. Fiducia mal riposta, perché quella forza – per essere credibile e sostenibile – richiedeva un dollaro dal valore stabile e una economia reale dominata dagli imprenditori e non dagli speculatori, come invece è spesso avvenuto negli ultimi 20 anni.

I crescenti disavanzi della bilancia dei pagamenti Usa (con il dollaro inflazionato a livello internazionale) e l’eccezionale “produzione” di moneta da parte della Federal Reserve negli ultimi 5 anni (con il dollaro inflazionato a livello nazionale) hanno messo a nudo la grande debolezza e fragilità del re.

Ormai si parla apertamente de “de-dollarizzazione” del sistema monetario internazionale, con molti paesi che fanno accordi bilaterali per effettuare i pagamenti con le rispettive monete nazionali in attesa di una riforma del sistema, che non si basi più sul dollaro. È pertanto vano sperare che la moneta dello zio Sam possa oggi essere considerata come un “bene rifugio”: troppa acqua infetta (leggi: eccessivo indebitamento degli Stati Uniti) è passata sotto il ponte del dollaro.

Chi punta negli Usa sullo scoppio della terza guerra mondiale (anche se “combattuta a pezzi”) spera invece di rafforzare il dollaro in vista della fine – in ottobre – della folle politica monetaria di QE (“Quantitative Easing” o stampa di moneta) da parte della Federal Reserve. Ciò significa che da novembre la Banca Centrale Usa non potrebbe più acquistare titoli pubblici, che negli ultimi anni il mercato non era disposto a comprare per il livello troppo basso dei tassi d’interesse fissati artificialmente dalla stessa Fed. Tra il 2010 e il 2014 il bilancio della Federal Reserve si è appesantito con i suddetti titoli per la colossale cifra di $3.700 miliardi! Mai nella storia si era osato tanto, violando una legge naturale: la ricchezza non si può stampare, ma deve derivare dal lavoro umano produttivo.

Negli ultimi 12 mesi la Fed ha acquistato titoli pubblici per ben $750 miliardi. È poco probabile che, senza un sensibile rialzo dei tassi d’interesse e senza le dosi – anche se più ridotte – di “droga” monetaria fornita dalla Banca Centrale, gli Stati Uniti possano trovare le risorse necessarie per finanziare il loro disavanzo dei prossimi 12 mesi (che si prevede pari ad almeno $500 miliardi, oltre a $400 miliardi di titoli di Stato in scadenza che vanno rifinanziati).

Ma l’inevitabile rialzo dei tassi d’interesse causerà – dopo un quinquennio di buone plusvalenze – il ribasso dei titoli obbligazionari e, come conseguenza, di Wall Street, i cui titoli azionari hanno raggiunto quotazioni stratosferiche grazie anche alla “droga” fornita dalla Fed negli ultimi 5 anni. “Droga” che è servita solo a rendere più ricchi i ricchi. È sintomatico che negli Stati Uniti:

  • Ÿ     si stiano vendendo bene solo le case di valore molto elevato, mentre c’è crisi per le case acquistabili dalla classe media (i mutui sono crollati del 50% per mancanza di domanda);
  • Ÿ     il numero attuale degli occupati a tempo pieno è inferiore a quello del 2007, mentre è in aumento l’occupazione a tempo parziale pagata poco;
  • Ÿ     come conseguenza il reddito medio delle famiglie è in sensibile discesa, mentre quello dell’1% delle famiglie più ricche è in forte (anche se artificiale) aumento per i “capital gain” finanziari e immobiliari.

Questi pessimi risultati economico-sociali sono stati raggiunti con la politica monetaria più espansiva mai realizzata negli ultimi 100 anni e che aveva come obiettivo quello di aumentare l’occupazione a tempo pieno e di avviare una sana ripresa dell’economia Usa. Obiettivo del tutto mancato.

La stessa politica monetaria espansiva è stata attuata in Giappone, ma sino ad oggi con identici pessimi risultati. Ora la vuole sperimentare, incredibile a dirsi, anche la BCE di Mario Draghi. Evidentemente la fallimentare esperienza altrui non insegna… È davvero da folli pensare che l’economia europea possa riprendersi con una forte iniezione di euro fornita dalla BCE in presenza di un crollo delle esportazioni verso la Russia (e domani verso la Cina?) e degli investimenti utili a integrare pacificamente il mondo occidentale con quello orientale.

Pertanto il mondo sviluppato si trova oggi nelle condizioni peggiori per “litigare” con la Russia e per imporre sanzioni, che danneggiano tutti, compresa la Cina, dove negli ultimi 15 anni il credito erogato dalle banche statali è aumentato da $1.000 a $25.000 miliardi! I prestiti andati a male sono in forte espansione (70 milioni di nuove case non trovano compratori) e sembra che le cifre del vero tasso di sviluppo dell’economia cinese siano di molto inferiori a quelle fornite dal governo.

Mercoledì 17 settembre uscirà il libro L’ITALIA CHE VORREI (Marsilio Editore, 176 pagine, 14 euro) scritto da Fabio Franceschi insieme a Stefano Lorenzetto, giornalista de “Il Giornale” e di “Panorama”. Fabio Franceschi, 45 anni, è il titolare della GRAFICA VENETA, la più importante impresa produttrice di libri in Italia, prima in Europa per redditività, l’unica al mondo in grado di stampare, rilegare e consegnare un libro in meno di 24 ore e di operare senza ricorrere all’energia elettrica tradizionale, grazie ai 39.000 pannelli solari installati sul tetto dell’azienda.

Franceschi spiega così il grande successo della GRAFICA VENETA:

“TANTO LAVORO, TANTA ONESTÀ, TANTO BUONSENSO”.

I tanti mali del mondo moderno derivano da poco lavoro produttivo (sostituito da tanto “lavoro” puramente speculativo), da poca onestà e da pochissimo buonsenso, specialmente nei quartieri alti di chi governa la moneta. Speriamo che non siano le conseguenze della terza guerra mondiale (anche se “combattuta a pezzi”) a dover farci ripartire da zero.


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