Vi è nella struggente, febbrile lingua di sabbia narrata da Moses Levy una pagliuzza baluginante che rimanda alla piena di un Eldorado impetuoso e caldo, pronto al setaccio delle sue proprietà più preziose.
Queste rene sono oggi narrate, a Firenze, presso la Fondazione Bardini, oasi lussureggiante e preziosa in pieno centro da cui è possibile assorbire a piena vista uno dei più gloriosi panorami del pianeta.
La mostra che la Fondazione oggi ospita, una retrospettiva di Moses Levy, intitolata Luce marina, sceglie di parlare in primo luogo di Toscana nella sua dimensione, meno topica, di lembo balneare.
Africano di Tunisi di nascita, inglese di nome, italiano nell’animo e nella formazione, Moses solca con il suo pennello l’effervescente mondo degli stabilimenti viareggini dei primi vent’anni del ventesimo secolo epurandolo di ogni nota caricaturale.
Levy pare conoscere i punti cardinali dell’arte del suo tempo: distilla le cromie di Cezanne, seleziona i vitalismi di Dufy, ricalca il mal d’Africa grazie a spunti biografici e suggestioni esotiche, generose pulsioni della sua generazione da Klee a Van Donghen e Nolde.
Il terreno della ricerca espressiva di Levy, la balneazione, da Seraut a Sorolla e Picasso e alcuni frammenti verbali della Morte a Venezia di Thomas Mann, è denso di pulsioni emotive e accoglie nei primi anni del secolo il consenso rappresentativo di un micro mondo in perenne equilibrio sottile fra inquietudine e surrealtà argentea foriera di lirismo.
La pittura di Levy sottende questa ricerca di una dimensione umana abbandonata metaforicamente alle onde di un’esistenza immediata, spontaneamente proiettata verso una saggia levità dal retrogusto dionisiaco, salvo nella maturità agglomerare piccoli suggerimenti crudi dell’espressionismo kirkneriano.
La mostra, ideata da Giuliano Matteucci e curata da Susanna Ragionieri, è corredata da un catalogo con schede storico-critiche di Claudia Fulgheri e saggi di Giovanni Mariotti e Isabella Tobino sarà a Firenze fino al 15 Febbraio.
Tuffatevi..
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