E in Vaticano scoppia la bomba Charamsa

Creato il 07 ottobre 2015 da Federbernardini53 @FedeBernardini

Io sono nato in una famiglia cattolica, e cattolica è stata la mia formazione, anche al di fuori della famiglia. A lungo sono stato un cattolico convinto e praticante, su posizioni fortemente conservatrici, e anche quando la mia fede ha cominciato a vacillare sono rimasto “culturalmente” cattolico, trovando perfetta corrispondenza tra il mio atteggiamento e la celebre affermazione di Benedetto Croce: “Perché non possiamo non dirci cristiani”.

Nel corso degli ultimi anni, dopo avere del tutto abbandonato la pratica religiosa, la mia fede è andata progressivamente attenuandosi, fino ad abbandonarmi o forse fino a ridursi come la più flebile delle fiammelle, ragione per la quale, a chi mi chiede se ho una religione, io continuo a rispondere, forse senza averne il diritto: “Sono cattolico”.

Verrà il giorno, forse, in cui non me la sentirò più, in tutta sincerità, di affermarlo, poiché, pur continuando a riconoscere l’importanza della rivoluzione antropologica del Cristianesimo e dell’opera moralizzatrice e civilizzatrice svolta nei secoli della Chiesa, temo che essa stia esaurendo la sua funzione storica e sia in procinto di trasformarsi in qualcosa di diverso, che la snaturerà, facendo crollare le sue fondamenta dottrinali e trasformandola in una sorta di Onlus politicamente corretta, al passo coi tempi, inquinata da quel relativismo che ha ormai quasi completamente corrotto l’intera tradizione occidentale.

I primi anni del pontificato di Francesco, che non a caso è molto amato dai non credenti, vanno in questa direzione e anche se egli non fosse destinato diventare il curatore fallimentare della Chiesa, credo che, se ne avrà il tempo e la forza… le resistenze degli ambienti conservatori sono ancora formidabili, minerà, come ha già cominciato a fare, i suoi fondamenti dottrinali.

Ma ai non cattolici, a quelli che vengono impropriamente definiti o si definiscono “laici”, termine che propriamente designa tra i cattolici coloro che non siano stati ordinati, non basta; essi vorrebbero che papa Francesco, ai loro occhi così moderno e politicamente corretto, bruciasse le tappe.

Ne abbiamo avuto una recente conferma a proposito del coming out di monsignor Krzysztof Charamsa, teologo, che ricopre, anzi ricopriva, in seno alla Chiesa alti incarichi istituzionali e accademici. La gerarchia lo ha sanzionato, per ora limitandosi a rimuoverlo dai suoi molteplici incarichi, suscitando le reazioni dei “laici” che hanno riversato sulla Chiesa tutto il loro odio, accusandola di omofobia, di oscurantismo e di mai sopite velleità inquisitorie e persecutorie, il che, in questo caso, corrisponde, né più e né meno, alla pretesa che essa getti il sesto comandamento, quello su cui si fonda la morale sessuale cattolica in tutte le sue declinazioni, fra il ciarpame degli avi.

“Ma in base a quale diritto?” mi domando io, da cattolico “borderline” che si ostina, forse abusivamente, a sentirsi ancora membro della comunità dei credenti. In base a quale diritto, chi non ne fa parte, pretende di dettare le sue regole ad un’istituzione che gli è estranea e, per di più, non costringe nessuno a farne parte? Siamo al cospetto di una comunità di cui si diventa membri per libera scelta e dalla quale si può uscire in qualunque momento, quando ci si renda conto di non poter più rispettare le sue regole, legittime per la Chiesa come per qualunque comunità che non voglia imporle a chi non ne fa parte. Troppo comodo, oltre che contraddittorio, sarebbe pretendere di continuare a far parte di un’istituzione di cui non si riconoscano i valori e le regole, continuando tuttavia a godere i benefici di uno status cui non si ha più diritto.

Monsignor Charamsa non è un funzionario o un amministratore della Repubblica Italiana e nemmeno un docente di una università statale, nel qual caso la sua dichiarata omosessualità non avrebbe avuto alcuna conseguenza giuridica, egli fa parte della gerarchia cattolica, che ha regole tutte sue, riconosciute dal Concordato e dunque da non poter essere considerate illegittime e lesive né della dignità della persona né di alcuna legge comune che non rientri nell’ambito delle disposizioni concordatarie.

Forse è attraverso il paradosso che potremmo meglio comprendere non solo l’illegittimità ma anche l’assurdità di certe pretese. Proviamo a trasferire il caso Charamsa dal contesto cattolico a quello calcistico e immaginiamo che al suo posto venga a trovarsi Francesco Totti.

Un bel giorno, “Er pupone” convoca una conferenza stampa e dichiara: “Io sono un attaccante della Roma e tale vorrei restare, ma il presidente della mia società pretende che io infili la palla nella porta delle squadre avversarie, privandomi del diritto di infilarla anche in quella della Roma. In questa squadra c’è del marcio, molti miei colleghi lo fanno già in modo occulto e fraudolento, truccando le partite, e il loro comportamento, a patto che non venga scoperto, viene tollerato dalla società. E’ ora che si sappia e che anche i diritti degli altri giocatori vengano riconosciuti, anziché costringerli a nascondersi e ad agire in modo clandestino”.

Se il presidente della Roma lo proponesse per un trattamento sanitario obbligatorio qualcuno griderebbe allo scandalo? E allora, lasciamo che ogni gioco continui a rispettare le sue regole se non pretende di imporre agli altri le sue. Sono stanco di tutti questi rugbisti che vorrebbero sostituire la palla ovale al volano del Badminton.

Ma in fondo la verità è un’altra, la Chiesa, benché debilitata, continua a far paura a chi la vede come un ostacolo all’omologazione culturale imposta da un nuovo ordine che dietro apparenze libertarie ci sta conducendo alla spersonalizzazione e all’asservimento totale. Essa va distrutta.

Non è nella tutela dei valori non negoziabili che sta il marcio, altri sono i mostri che affondano i loro artigli nella carne di quella che viene definita la sposa di Cristo (Efesini 5:25-33)… ma questa è un’altra storia.

Federico Bernardini

Illustrazione tratta da Google immagini


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