È inutile: non mi somigli

Da Maddalena_pr

LA VERA RAGIONE PER CUI HO FATTO 3 FIGLI

Quando è nato Patrick, la prima cosa che ho detto è stata: “Hai visto? È brutto, te l’avevo detto…” Era la mia paura più grande (il mio modo di sfogare l’insicurezza da neomamma, evidentemente).
Sano? Lo davo per scontato. Contare le dita delle mani e dei piedi? Cliché. Biondo? Tanto poi i capelli cadono. Occhi blu? Il colore all’inizio non si capisce. E comunque aveva gli occhi pure blu, a dirla tutta, ma così blu che ci potevi giurare che non sarebbero diventate due bocce scure come le mie. In ogni caso le ostetriche francesi glieli annaffiarono di betadine per disinfettarli da non si sa cosa, e quindi la sola grazia che quel fagotto mi implorava di cogliere era a tutti gli effetti la ciliegina sulla torta.

Lo volevo bello. Mia sorella aveva già partorito tre volte, tre donnine una meglio dell’altra, gli occhi marroni ma belle, belle che io non volevo essere da meno. E invece sotto la maschera dell’ossigeno – ché il poveretto aveva anche un po’ sofferto – stava un testolino deforme, un orecchio schiacciato, l’altro già ribelle, e due orbite oculari color zucca.

Tempo sei mesi, nemmeno, che il pupattolo ti cade la peluria e ti mette uno zerbino setoso di capelli chiarissimi. Gli occhi sono secondi, al mondo, solo a quelli di Liz Taylor, la testa è sempre meno storta e la madre, che ora lo guarda con venerazione, raccoglie con gaudio ed entusiasmo sciami di complimenti, a coronare il suo stesso compiacimento. Patrick era talmente bello che pure i ragazzetti col culo di fuori, gli adolescenti che a tutto pensano fuorché a un bebè, si voltavano, si tiravano spallate tra loro: “Guarda che bel bambino!”
Roba da non credere.
Potevo dirmi felice. Stronza. Ma felice.

Mancava solo una cosa: che un po’ mi somigliasse. Difficile rintracciare un segno qualunque che quel Cicciobello fosse stato immesso nel mondo a partire dal mio ventre. Non c’era nulla, niente, nessun dettaglio che potesse rendermi sospettabile come genitrice. Peccato.

E lì fu la seconda. Un po’ per la voglia di femmina (dai, sta volta è una bambina!), un po’ perché dovevo rifarmi: trovo che la natura sia ingrata nei confronti della donna, se un figlio, almeno un po’, non le somiglia.

Bellina fin da subito, la mia fatina sbocciò pienamente intorno ai nove mesi: in quella foto in cui striscia per terra con la gonnella a fiori è un vero invito alla procreazione. Il primo, grande complimento, mi arriva in cassa al fu-GS: “Che bella bambolina!” Due anziane signore che forse l’avrebbero detto a chiunque, la gentilezza della terza età miscelata alla noia per l’attesa in coda. Ma volli crederci e di lì in poi mi accorsi, giorno dopo giorno, che la piccola era dotata di estrema grazia e beltà.

Per una piccola parentesi temporale – intorno all’anno – qualcuno si spinse perfino a osservare: “Madda, è uguale a te.”
Studiavo le mie foto da piccola, qualcosa c’era, qualcosa volevo trovarci. Forse sì, un po’. Il guaio è che la bambolina aveva capelli biondissimi, lievemente ramati, e occhi incerti tra il verde e l’azzurro (quale terribile enigma…). Il che mi valeva, 99 volte su 100, il commento immediato: “È uguale a Patrick!”
Certo, se non guardi il naso a patata (mio!), l’ovale del viso (mio!), il ciuffo sulla fronte e la scarsità di capelli e sopracciglia (miei), e ti limiti ai connotati…

Passata questa fase, in ogni caso, Sarah ha ormai preso la sua strada: nemmeno il ciuffo richiama più alcunché della sottoscritta, i capelli sono cresciuti in deliziose forme abboccolate che al limite potresti darle della sorella di Shirley Temple, e in ogni caso anche per inseguire quelle sopracciglia, la forma degli occhi senza distrarsi col colore, dovrei girare con una foto di me a 5 anni tatuata sul dorso della mano, o stampata su una T-shirt.
E siamo a 2. Belli, bellissimi. Ma non mi somigliano.

Alla soglia dei 40 suonati, per semplici conteggi statistici, induco il marito a riprovarci: questa volta sarà la mia fotocopia.
Una fredda notte di febbraio, dopo immani sofferenze, ecco venire alla luce (si fa per dire) il terzo frutto del nostro operato: due occhi scuri e senza betadine che ben promettono, qualche capello scuro anch’esso, la pelle rosa come non ho mai visto, ma… e quello cos’è? In mezzo al viso, rotondo a perfezione (questo lo ammetto), un trampolino che nemmeno a Holmenkollen per il lancio con gli sci: è il naso. Lo riconosco dalle narici.

Ecco, col tempo anche tu sei migliorata non poco. C’hai la sfiga di non essere “nordica” e angelica come gli altri (né nelle caratteristiche né nel carattere), c’hai la fortuna di avere i miei stessi, discutibili connotati (capelli biondi che poi scuriranno, come furono i miei, e occhi irrevocabilmente marroni), ma poi con quel naso dichiaratamente paterno (e anche la fronte “spaziosa”), amore mio, mi hai fregato.

E per questa vita abbiamo finito… È inutile: neanche tu mi somigli.