Grazie a una tecnica innovativa, elaborata insieme a due colleghi, la ricercatrice italiana ha permesso ai malati di leucemia di sperare
Il suo nome è Francesca Bonifazi, ha 46 anni, è sposata e con tre figli. Con il suo lavoro di ricercatrice e trapiantologa al Policlinico Sant’Orsola di Bologna, la donna è riuscita a perfezionare, insieme a due colleghi (uno spagnolo, Carlos Solanos, e un tedesco, Nicolaus Kroge) un’innovativa tecnica che permette di evitare quelle gravissime complicanze che possono insorgere per causa dei trapianti effettuati per curare la leucemia.
La tecnica è chiamata “Graft versus host disease” (Gvhd) o “Lotta contro la malattia dell’ospite”. Grazie a questa, il rischio di mortalità dopo un trapianto si abbassa notevolmente, scendendo dal 68% al 32%. Per merito di questo enorme contributo, adesso la ricercatrice è citata sulla rivista “New England Journal of Medicine“, una delle più autorevoli del Paese in ambito medico.
Francesca Bonifazi, “Senior Author” dello studio appena uscito, è riuscita, insieme ai colleghi, a scoprire che aggiungendo un siero ai linfociti, chiamato ATG (globulina anti lifocitaria) il rischio che insorga la malattia dell’ospite è molto ridotto, mentre l’efficacia del trapianto rimane la stessa.
Per verificare la ricerca, sono stati presi in esame 161 pazienti affetti da leucemia acuta. “Durante il ciclo di chemioterapia – spiega la ricercatrice – che precede il trapianto, viene iniettato nel paziente un siero chiamato ATG: si tratta di un farmaco che “intontisce” i linfociti del donatore. In questo modo si ottengono due risultati: i linfociti combattono lo stesso la leucemia ma non attaccano gli organi sani“.
“Questo risultato mi ripaga di molte cose, – conclude Bonifazi – di tanti sacrifici e di rinunce, anche a livello professionale. La leucemia acuta ha una sopravvivenza del 60%. Resta ancora tanto da fare… Non possiamo fermarci: il mio obiettivo è questo“.
E.S.
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