La logica e il buonsenso vorrebbero, quindi, che, per uscire dalla crisi, la rete dovrebbe essere uno dei settori in cui lo Stato dovrebbe investire di più. E invece, la nostra classe dirigente si sta attrezzando per uccidere il web, dal punto di vista economico e civile.
Partiamo dalla norma che – il testo non è ancora definitivo – sarà inserita nel decreto Destinazione Italia. Il testo prevede che, prima di linkare e/o condividere un testo di carattere giornalistico, sul proprio sito, sia necessario contattare il titolare del testo (il giornale, cioè) e pagargli i diritti di utilizzo, in base ad un accordo pre-siglato. Ce lo vedete un piccolo blogger trattare con il Corriere o Repubblica? Una prospettiva a dir poco folle, insomma, che renderà impossibile condividere e commentare notizie in rete. Ma non è finita qui.
Dal 31 marzo 2014, infatti, sarà operativo il nuovo regolamento per la tutela del diritto d'autore, che non ha eguali nei paesi democratici. Con la scusa della lotta al P2P e con un iter del tutto inusuale, infatti, l'Agcom, l'autorità per le comunicazioni, ha steso una sua personale legge, arrogandosi il potere di ispezionare e sanzionare tutti i siti web italiani, ritenuti responsabili di violazione del copyright, bypassando l'operato di magistratura e forze dell'ordine, nella più incredibile violazione dello stato di diritto e della libertà d'espressione, che si sia mai vista dai tempi del ventennio fascista.
Chiunque, quindi, potrà segnalare all'Agcom un sito per violazione del diritto d'autore, vera o presunta che sia, senza nemmeno essere sanzionabile, nel caso di segnalazione falsa! Il titolare del sito avrà due strade: o rimuovere il contenuto segnalato o fare ricorso direttamente all'authority o alla magistratura, con tutte le conseguenze legali ed economiche che ne conseguono.
Ovvio, naturalmente, che, con dei sistemi del genere, il 99% dei blog chiuderebbe nel giro di poco tempo, uccidendo, di fatto, la libertà di espressione e di libero pensiero in rete. La stessa Agcom, intanto, rassicura tutti circa l'utilizzo di questi provvedimenti nel pieno rispetto delle libertà civili, ma "fidarsi è bene, non fidarsi è meglio". In rete, fioccano le proteste e le iniziative per abbattere queste norme liberticide, ma basteranno?
Come se non bastasse, intanto, ecco un'altra brillante idea: inserire, nella Legge di Stabilità, la cosiddetta Google Tax o Web Tax. Tutti sappiamo che le grandi multinazionali hanno un debole per i paradisi fiscali e le società di internet come Google, Amazon o Facebook non fanno certo differenza. "Se guadagni in Italia, allora devi pagare le tasse in Italia" sostengono i fan della norma: principio giusto, ma sistema sbagliato.
Innanzitutto, si tratta di una iniziativa unilaterale, presa senza alcun tentativo di arrivare ad un accordo non solo con le aziende interessate, ma con la stessa Unione Europea che, in questi mesi, stava già lavorando ad una legge del genere e che, infatti, ha già aspramente criticato il provvedimento italiano. Non dimentichiamo, infatti, che i giochetti finanziari, cui ricorrono tutte le multinazionali per pagare meno tasse possibile, per quanto eticamente discutibili, sono perfettamente legali in tutto il globo. Checchè ne dicano i sostenitori della norma, non possiamo fare tutto da soli: è la globalizzazione, bellezza.
La prima stesura del testo – frettolosamente modificata nella notte, dopo la pioggia di critiche -, inoltre, stabiliva che le aziende italiane potevano acquistare merci e servizi online solo da società con partita iva italiana. Così com'era scritta, la norma non poteva che provocare danni: non so se chi ha scritto il testo ne è a conoscenza, ma la rete non è solo Google, Facebook e le altre mega aziende.
E', infatti, anche una miriade di piccole e medie imprese o addirittura singoli smanettoni, che creano programmi e servizi e, grazie alle possibilità del web, li vendono in tutto il mondo (pensate solo alle app che usiamo tutti i giorni sui nostri smartphone). Una legge del genere sarebbe doppiamente penalizzante: impedirebbe a queste imprese di accedere al mercato italiano (impossibile, per una PMI straniera, sopportare i costi di una partita iva in Italia) e taglierebbe fuori le nostre aziende dall'utilizzo di prodotti e servizi all'avanguardia.
L'obbligo della partita iva, per fortuna, è stato eliminato per l'e-commerce, ma permane per la vendita di spazi pubblicitari online. In questo caso, invece, saranno direttamente le nostre aziende a pagarne il prezzo, nel senso letterale del termine: è ovvio che, per controbilanciare i maggiori costi derivanti dalla tassazione italiana, le multinazionali aumenteranno i prezzi dei loro servizi, diventando meno competitive e permettendo, ha aggiunto qualcuno malignamente, ai tradizionali venditori di spazi pubblicitari, come la tv e i giornali, di recuperare fette di mercato, perse con l'avvento della pubblicità online.
Insomma, questi ultimi giorni sono stati una sofferenza per la rete tricolore: uno strumento formidabile, che potrebbe portare ricchezza e lavoro, se ben utilizzato, viene maltrattato e limitato, a causa di interessi personalistici e di bottega. Non possiamo permetterlo, perchè, mentre il mondo corre, noi stiamo innestando la marcia indietro: è sbagliato, è pericoloso e rischierà di farci cadere ancora più in basso, in una crisi che sembra non aver fine.
Danilo