Ce ne sono di donne e uomini che restano tutta la vita nella galera di matrimoni senza amore, senza solidarietà, senza passione, pur immaginandone i palpiti e l’ardore. Ce ne sono di ragazzi di provincia che diventano vecchi al tavolino del bar in piazza, sognando quello che vivrebbero, vedrebbero, conoscerebbero nella grande città. Ce n’era una volta di lavoratori che si accontentavano di mansioni meschine e servili, aspirando, senza aver il coraggio di rischiare, a mettere alla prova i loro talenti. È che il nuovo, l’ignoto, lo sconosciuto, ancorché immaginato, sognato, atteso, cercato, fa paura. Mentre il conosciuto, il vissuto, il noto, il collaudato, ancorché mediocre, tedioso, a volte perfino dannoso, lo si sa già, non riserva sorprese, non richiede coraggio, non vuole cambiamenti, non esige ardimento. Anzi permette una imitazione della vita come fosse una prova generale che fa magari sbadigliare, in attesa della prima, in attesa di essere attori di noi stessi.
Sembra che gli italiani abbiano un sacco di tempo per aspettare, per affrontare il cimento di riprendersi i propri destini sia pure ardui, per uscire dall’autoinganno, quello di credere che affidarsi a qualcuno che replica le minacce di rovina come fossero promesse, che predica la precarietà come l’unica certezza che ci è concessa, sia una garanzia, quella di tirare a campare come si è sempre fatto, tra alti e bassi, privazioni e modeste conquiste, attese di un piano Marshall, di un aiuto provvidenziale, magari dei marziani cui il Papa è pronto a dare i sacramenti, sperando anche lui che qualcuno venga a mettere un po’ di ordine. Il mondo chiuso del ceto dirigente, i media che lo hanno propagandato con una macchina del consenso mai vista prima, la sbalorditiva tracotante sicurezza di sé del giovanotto bolso e sfrontato la cui sicumera è pari alla superficialità, la mostruosa autoreferenzialità delle loro promesse circa l’illimitata possibilità di manipolare la gente attraverso la paura, ha nutrito la potenza dell’autoinganno, del quale tanta gente si è fatta persuadere, soprattutto là dove il senso della perdita è più forte, come la consapevolezza amara che sono stati strappati beni, aspettative, non sempre meritati, solo ereditati e poco custoditi, con l’indifferenza dei figli prediletti.
E infatti il partito di Renzi, il coronamento della distopia veltroniana di cancellare anche ‘impronta della sinistra, per dar forma a una moderna Dc, onnicomprensiva di tutto il moderatismo, quello arcaico e quello tecnocratico, aggrega il blocco sociale conservatore nel momento in cui crolla la speculare prospettiva berlusconiana, riuscendo a mantenere al suo interno perfino una porzione elevata del suo elettorato tradizionale proveniente dal Pci proprio nelle regioni rosse, dove prende il doppio dei voti dell’opposizione a cinque stelle. E tenterà di formalizzare la Terza Repubblica, compensando quel senso di privazione di piccoli privilegi, di conquiste sudate, di lavoro sicuro, di garanzie inviolabili, con la stabilizzazione dell’instabilità, con il consolidamento della precarietà, con l’illusione delle privatizzazioni come macchine da soldi, con la rinuncia alla rappresentatività, come se la democrazia fosse un lusso che non possiamo più permetterci e non ci meritiamo.
Non è più tempo di democrazia e da tempo non è più tempo di sinistra, anche se è chiarissimo – e anche paradossale – che cosa vorrebbe dire oggi “sinistra”, aggiungendo alla lotta allo sfruttamento la difesa della sovranità di Stati e popoli. Non può essere quella della lista Tsipras, parodia chic pummarola n’goppa di quella nata all’ombra del Partenone, ancora più affannata di Syriza nel confermare l’ideale adesione all’Ue, irrinunciabile come un obbligo morale, ligia a trattati e protocolli e incapace di saltare il fosso che potrebbe distanziarla dal neo liberismo e che dovrebbe limitare il rigurgito neofascista nelle sue varie forme, visto da una parte dell’elettorato come unica posizione contraria alle politiche europee.. Non può essere il disordinato e parodistico movimentismo col berrettino, incapace di intercettare critica e opposizione, oltre al malcontento. L’Italia è proprio il laboratorio dove si è sperimentato e dove si realizza al meglio il “golpe”, quello della cancellazione delle democrazie ad opera degli stessi popoli ricattati, impauriti, minacciati. Dopo l’autoinganno è proprio il tempo dell’eutanasia, ma di dolce la morte della politica e delle scelte non ha nulla.