Quando comparve Itunes, 11 anni fa, chi vi scrive andava per strada avendo in borsa oggetti “cult” come il walkman (e da qui è possibile ipotizzare la mia età) o in seguito il lettore CD. Ad ogni modo la musica era “sensibile”, materiale nel senso vero del suo essere supportata dal supporto. Incisa, analogicamente o digitalmente, in qualcosa di plastico, sensibile, tattile.
Quando si ascoltava il Walkman
Poi entrò in scena il player e successivamente lo store “immateriale” targato Apple stabilendo un punto di non ritorno verso la de-materializzazione del mercato musicale, del prodotto mediale come lo è oggi sopratutto nell’orizzonte ampio dello streaming, vera e propria rivoluzione nel rapporto fra utente e prodotto. Insomma Itunes è un “ground-zero” della musica ed ha appena festeggiato – in tempi di concorrenza contro fenomeni come Spotify o Pandora – il suo secondo decennio di scena nel mercato. Complice del successo dello store musicale, l’arrivo dell’Ipod è stato indubbiamente la rivoluzione del contenitore con il contenuto nella cui unità ci si poteva stivare pile di cd con pochi clic, acquistare a negozio chiuso, trovare le esclusive e condurre la apple su territori “democratici” e toglierla dagli ambienti di elitès dove era prima confinata.
Al primo compleanno, la creazione di casa Apple era già diventata grande: era stata rilasciata la versione di iTunes Music Store per gli utenti Windows, erano stati venduti 70 milioni di brani, e lo store era quasi raddoppiato. Di lì in poi, le tappe furono bruciate in fretta. Dopo aver conquistato il mercato europeo, nel 2005 il Music Store arriva in Giappone. Poco dopo, al repertorio musicale si aggiunge quello dei giochi per iPod, dei podcast, dei film (oggi anche a noleggio), degli audiolibri, rendendo necessario un make-up anche del nome: via il Music, ora è solo iTunes Store.
Dopo più di un decennio siamo – passo dopo passo – addirittura al paradosso che inverte le parti: una musica neanche comprata per essere tua, ma solo ascoltata, quasi fosse in prestito, che non puoi collezionare, esibire, leggere (booklet, credits, testi etc): un “low cost” che ha confinato il gusto, lo chic di un ascolto esclusivo da un lato; e dall’altro ha democratizzato gli artisti i quali non possono più dipendere dalle sole vendite dei dischi (dischi???) aumentando i live sempre più ricercati in termini di spettacolo, sound e scenografie.