È molto difficile farsi un’idea della complessità del patrimonio della chiesa.

Creato il 29 maggio 2014 da Hugor @msdiaz61

È molto difficile farsi un’idea della complessità del patrimonio della chiesa. È fatto di molte cose diverse, stratificazione di una eterogeneità di soggetti e di istituzioni, e di una storia di 20 secoli , in cui sono transitate – e spesso passate di mano – forme di ricchezza di tutti i generi: dai latifondi del patrimonio di San Pietro e dai tesori d’arte custoditi in Vaticano, fino al business turistico dei nostri tempi, passando persino per una piccola flotta mercantile costituita negli anni ’40. In teoria, bisognerebbe partire dall’indicazione più semplice, il bilancio della Santa Sede. L’ultimo bilancio consolidato, pubblicato nel luglio del 2012 e relativo al 2011 segna un disavanzo di quasi 15 milioni di euro.

Il governatorato, invece, amministrazione autonoma che gestisce lo Stato, cioè i 44 km2 di Città del Vaticano, ha chiuso con un attivo di 21 milioni di euro. L’Obolo di San Pietro “offerte dei fedeli a sostegno della carità del santo padre”, ha chiuso con 69 milioni di dollari di contributi (interessante notare che questo dato viene fornito in dollari), due milioni in più dell’anno precedente. Mentre 32 milioni di dollari sono arrivati dalle circoscrizioni di tutto il mondo per il mantenimento del “servizio che la Curia romana presta alla chiesa universale”.

I MINISTERI ECONOMICI.
Per completare il quadro illustrato dal comunicato stampa del luglio 2012, nel 2011 lo Ior ha offerto al Santo Padre 50 milioni di euro. Ma in realtà questi saldi non spiegano la ricchezza della Chiesa. Un censimento è quasi impossibile, anche a causa della natura frastagliata delle istituzioni che si occupano dell’economia vaticana. Tanto che uno dei punti su cui si attende una riforma della curia da parte del nuovo papa potrebbe essere proprio la razionalizzazione dei ministeri economici e la sistemazione dello Ior. Non esistono cifre precise, dunque, ma solo stime.

Partiamo proprio dallo Ior, la banca vaticana, che risponde direttamente al Papa e che nasce per ricostruire le finanze vaticane dopo l’Unità e che si rafforza con Bernardino Nogara, capo delle finanze Vaticane dalla fine degli anni venti alla metà degli anni 50. Secondo stime informali il patrimonio attuale della banca ammonterebbe a 5/6 miliardi di euro.

IL PATRIMONIO.
La Santa Sede, cioè il vertice del sistema mondiale, ha un patrimonio gigantesco, gestito attraverso l’Apsa – amministrazione del patrimonio della sede apostolica – l’equivalente di un ministero del Tesoro. Una valutazione della metà degli anni 2000 parlava di soli beni immobiliari del valore di 450 milioni di euro, ma già allora era considerata prudenziale, e che il valore reale fosse un multiplo. Si stima che l’Apsa abbia una riserva di un miliardo di patrimonio liquido immediatamente disponibile: azioni, oro, obbligazioni. Fuori dal bilancio consolidato ci sarebbe il patrimonio immobiliare di Propaganda Fide, il ministero delle missioni, 10 miliardi di euro stimati.

Queste cifre sono solo una porzione della straordinaria ricchezza immobiliare su cui si basa la forza operativa globale della chiesa e che viene controllato attraverso la rete degli ordini, delle congregazioni, delle attività collegate alle diocesi in giro per il mondo. Si parla di una dimensione molto difficile da immaginare: nel mondo oltre 450.000 centri religiosi (parrocchie, missioni, ecc.) e oltre 200.000 scuole. Le stime dicono che il 20% circa dell’intero patrimonio immobiliare italiano sarebbe riconducibile alla Chiesa. Secondo un calcolo del Sole 24 Ore il valore di questa dote è di almeno mille miliardi di euro, una cifra enorme, equivalente – per farsi un’idea – al 62% della ricchezza totale prodotta ogni anno in Italia. Il patrimonio estero varrebbe almeno altrettanto, altri 1000 miliardi di euro.

L’INCHIESTA.
Per esempio, secondo un’inchiesta pubblicata dal Guardian a gennaio scorso – e non smentita né commentata dal Vaticano – andrebbe ricondotto alla Santa Sede un patrimonio immobiliare londinese da 650 milioni di euro, tra St James Square e Pall Mall, la cui origini risalirebbe a un’operazione di Nogara con il denaro versato da Mussolini in cambio del riconoscimento del regime da parte della Chiesa.

Una parte molto considerevole del patrimonio immobiliare è quello degli Stati Uniti e la forza economica della chiesa americana era stata considerata una delle concause dell’aumento di peso dei cardinali statunitensi, prima degli scandali sessuali. I processi contro i sacerdoti pedofili sono costati delle cifre molto ingenti alle diocesi nordamericane che hanno liquidato i danni grazie soprattutto alla cessione di beni immobili. A Boston dieci anni fa furono liquidati 85 milioni di dollari per i danni processuali su un patrimonio stimato dalla diocesi di oltre 600 milioni di dollari.

Tra il 1985 e il 2006 la diocesi di Los Angeles ne ha liquidati 100, più 660 con l’accordo del 2007. Stime giornalistiche internazionali parlano di oltre un milione di ettari posseduti dalle istituzioni religiose negli Stati Uniti, il doppio di quanto si stima per l’Italia. Ma quella americana è una comunità di oltre 75 milioni di fedeli, 19.000 parrocchie, e quasi duecento diocesi.

L’ITALIA.
Un aspetto molto interessante da valutare, perché sempre fonte di polemica sul dare e l’avere, riguarda i rapporti economici tra le chiese nazionali e gli stati. Prendiamo il caso italiano. In Italia, lo stato devolve alla Chiesa l’otto per mille del gettito Irpef a cui vanno aggiunte altre erogazioni, comprese le retribuzioni per gli insegnanti di religione, e le agevolazioni Imu. I calcoli variano: si va dal calcolo minimo di circa 2,5 miliardi, fino ai 6,2 miliardi di euro stimati dall’unione degli atei.

Che cosa offre in cambio la Chiesa? Un giornalista, Giuseppe Rusconi, ha appena pubblicato un libro dal titolo “L’impegno” (Rubbettino, pagg. 135, euro 12,00) in cui stima il valore dei servizi welfaristici offerti in regime di sussidiarietà dalla chiesa alla comunità nazionale in almeno 11 miliardi di euro l’anno, cioè poco meno dell’1% del pil. Valori analoghi vengono calcolati per altri paesi cattolici. Senza entrare nel dibattito, è un altro indicatore della forza economica della Chiesa su cui da oggi governerà il Papa Francesco.

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