La cerimonia inaugurale (immagine tratta dal sito ufficiale della Fifa)
13 GIUGNO – Tutti lo desideravano, tutti lo volevano, tutti lo aspettavano. E alla fine è arrivato. Giovedì 12 giugno l’Arena Corithians delle città di S.Paolo è stato il teatro di apertura del Campionato Mondiale di calcio 2014, con la partita Brasile – Croazia (per la cronaca finita 3-1, anche grazie ad un evidente “aiutino” da parte dell’arbitro nei confronti dei padroni di casa) ad aprire le danze in un’atmosfera a diro poco calda elettrizzante e suggestiva.
Al via così la ventesima edizione, la seconda in terra brasiliana – dopo quella “maledetta” del 1950 – dove la ricchezza culturale si intreccia con problemi e conflitti ancora aperti. Ma quello di quest’anno che Mondiale sarà? È il Mondiale dei Mondiali, si dice, della samba, delle spiagge, del sole, del mare, delle belle ragazze, dei lunghi viaggi, dei 12 stadi consegnati in ritardo (e a caro prezzo); ma soprattutto è quello del calcio nella sua pura essenza. È il Mondiale dei campioni, magari non di tutti; è il Mondiale delle stelle, anche se qualcuna starà a guardare; è il Mondiale di chi ora, dopo le chiacchiere dei mesi precedenti, ha il dovere di regalarci un torneo degno delle più rosee aspettative; è il Mondiale della musica, della bella musica, con una cerimonia inaugurale che vedrà protagonisti tantissimi artisti, tra i più rinomati, in una stupenda cornice di pubblico.
Ma il calcio spesso non è solo coinvolgimento e passione, divertimento e festa. Il calcio a volte è anche rabbia. La rabbia di chi non ce la fa più, di chi vive ai margini della società, di chi lotta per sopportare i tagli ai servizi più essenziali, le morti sul lavoro, le difficili condizioni di vita e un incredibile squilibrio sociale in nome del dio Calcio che in nella terra carioca ha avuto i natali. L’edizione brasiliana è infatti quella dei costi, elevatissimi come non mai: una cifra che si aggira intorno ai 14 miliardi di dollari comprendente lavori di costruzione o ristrutturazione degli stadi e progetti infrastrutturali. Numeri mostruosi se paragonati a quelli delle edizioni precedenti. E così, da una parte stadi gremiti e giubilanti, dall’altra tumulti, guerriglie urbane e vibranti proteste decisamente lontane dal mondo del pallone.
Ma chi vincerà il tanto agognato trofeo, frutto dell’arte di un orafo e scultore nostrano che risponde al nome di Silvio Gazzaniga? Neanche a dirlo, i padroni di casa non hanno scuse, devono arrivare in fondo. Non è ammesso nessun alibi. Ma anche Argentina, Germania e Spagna hanno tutte le carte in regola per innalzare quella coppa d’oro massiccio, sogno proibito di tanti ma concreta possibilità per pochi.
E l’Italia? Quattro anni fa l’abbiamo lasciata in un vortice di delusioni, lacrime e critiche. Ora la ritroviamo sempre così, mazzolata, attaccata e criticata, anche se durante questi 48 mesi gli Azzurri hanno conquistato un secondo posto agli Europei e una posizione nel podio della Confederation Cup 2013 (esattamente un anno fa). Roba non da poco conto, che però il tifo del Belpaese, intento a puntare il dito contro le scelte tecniche di Prandelli (discutibili, ma pur sempre scelte) e contro le ultime prestazioni non esaltanti della squadra, sembra avere dimenticato. Naturalmente solo le vittorie potranno riaccendere il sopito interesse per Balotelli, Buffon, Pirlo & co e far sì che il tricolore, messo per mesi in naftalina, possa rivivere giorni di gloria.
E dunque, immergiamoci in un mese intero dedicato al campionato più bello in assoluto, sebbene ricco di contraddizioni, di campioni assenti e di altri presenti per metà, di luci e di ombre, di musica e proteste, di sfarzo e povertà. E Mondiale sia.
Gianmarco Cossu
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