E' Natale, la festa esprime ciò che la vita soffoca.

Creato il 25 dicembre 2015 da Gianna
Bernard Charbonneau
Noi pagani chiediamo alle feste di salvarci dalla vita di tutti i giorni, e Natale è la più importante. Ridurla nei termini del linguaggio quotidiano parrebbe quasi un sacrilegio, se il figlio di Dio quel giorno non avesse scelto come tempio una stalla abbandonata. Nel più buio dell'inverno ogni anno ritroviamo l'ultima delle festività: in fondo alla notte dei tempi brilla ancora il sangue aguzzo degli agrifogli. Scende la sera, ma il bagliore delle braci penetra, intatto, l'oblio delle ceneri e il cuore tiepido del focolare batte al respiro regolare dei suoi figli addormentati. La casa nel gelo è una nave ancorata in cui il silenzio si tende e freme d’un tratto nel corso del tempo. L'ora risuona ed annuncia una presenza. Ci perdiamo nella luce del sole, ed eccoci a ripercorrere quest'altra strada che penetra nelle nostre tenebre. E che si dirige insondabilmente verso quella stella che ci fissa nella più azzurra oscurità. Sempre più profonda, verso questo giorno il cui grido esplode nel parossismo della notte: Natale!
Il tempo passa; guerra e pace, ed imperi. Ma il Natale ritorna. Il suo simbolo è un vegliardo antico come il mondo che distribuisce i suoi doni ai bambini. Va verso le case che l'inverno chiude in se stesse, ma sorge dalla natura più ostica, come il verde abete dalla neve. E i suoi doni non sono ricchezze, sono giocattoli, variopinti coi freschi colori del mattino. Il vecchio Natale ritorna, carico di giocattoli per i nostri bambini e, per noi, di doni dell'infanzia. Nel momento più grigio dell'anno, apre la porta e un soffio di aria pura e gelata ci svela tutta la distesa di neve e di foreste vergini. Ma soprattutto, in un mondo in cui la natura è vinta, ci fa intravedere l'impenetrabile bosco vivente dove fremono ancora bestie e spiriti. E nelle profondità del suo mistero, un albero dell'Eden brilla di mille fuochi. In questo giorno di Natale ritorniamo all'innocenza, ma dopo Adamo la nostra innocenza è troppo spesso quella del bruto.
Il ritorno del Natale sembra affermare l'invincibile infanzia degli uomini e le società più razionalizzate gli devono un culto tanto più fervente; perché la festa esprime ciò che la vita quotidiana soffoca. San Nicola infesta la metropolitana di Londra e gli edifici di New York; e lo stesso mondo totalitario non riesce ad esorcizzare il vecchio fantasma. In quel giorno il fuoco sulle trincee si fa meno fitto; e il Terzo Reich rende a Natale un culto in cui cerca di eliminare ogni elemento cristiano. Natale resiste anche alla rivoluzione sovietica. Il comunismo puritano degli inizi aveva cercato di respingere la superstizione nelle ultime chiese; il realismo staliniano non poteva accettare che il popolo, nonostante le promesse della propaganda, continuasse a rifornirsi di sogni al mercato nero. E Babbo Natale è diventato un funzionario del piano.
Natale ritorna; e il numero di Natale. Ma perché il rito familiare pesa di colpo come una menzogna? Forse è colpa di questo bambin divino la cui nudità miserabile e viva è un insulto alle ricchezze accumulate dalla nostra goffa società. Il Natale dei pagani ritorna in eterno come il solstizio d'inverno, ma gli tocca nascere per sempre. E i suoi occhi si aprono sul mondo, come dovrebbero aprirsi i nostri.
Perché questo mondo non è più l’Eden innocente ed eterno delle origini. Due avvenimenti l'hanno cambiato, uno è stato voluto dall'uomo e l'altro da Dio: la Caduta e l'Incarnazione. E due segni si inseriscono ormai nel nostro cielo, uno dei quali è il sole urlante di guerra e di fiamme, se l'altro è sempre la chiara stella di mezzanotte. Il vecchio Natale pagano non è più di questo mondo; il bianco paese delle renne è lordato dagli pneumatici dei quadrimotori e noi abbattiamo le foreste del Nord per costruirci un finto Natale su nevi di carta. Per questa festa l'albero verde dell'infanzia può brillare di luci, la maturità dell'uomo ha innalzato anche il suo la cui ombra incombe ormai su ogni giorno.
A dispetto della nostra vita, nelle contrade che la polizia interdice in modo più sicuro dei ghiacci o dei demoni, ora sorge l'albero della morte il cui tronco è fiamma, le fronde di ceneri, la linfa, energia divorante. Ma il demone che lo rinchiude nell'inferno più nero della nostra incoscienza indossa la maschera della paura sul volto dell'angoscia. E noi ci rassicuriamo pensando che Natale è pur sempre Natale; perché se la vita è quotidiana, le feste sono tradizionali. Domani la vita continuerà, e ritroveremo le nostre abitudini! i piccoli interessi o i piaceri individuali. In mancanza, le grandi passioni ideologiche e politiche: due grandi esempi che innalzano, ad est e ad ovest del nostro mediocre orizzonte, le loro due colonne di fuliggine vomitate dalla terra e dal mare. Il nulla sarà russo o americano? A meno che non sia inglese o francese: è tutto qui, è la nostra ultima possibilità. Ma non illudiamoci, la nostra mediocrità non potrà accedere a tale onore.
Notte santa; il silenzio ti raccoglie, come il vasaio tiene la tazza di argilla fresca tra i palmi delle mani. Ma chi la contempla, ora sa che è rotta. Chi la ascolta, ne sente il fremito del rimbombo delle forze di cui ogni forma fu costituita: il tempo passa e il suo sangue sgorga a fiotti di fiamme dalle vene aperte della terra. Festa di Natale, donata ai bambini, i soli che possano ancora raccogliere i frutti dell'albero magico, il che significa per noi, che dobbiamo loro non solo dei giocattoli ma un avvenire? Sotto le sue ghirlande pacchiane e la sua neve chimica, rimane solo un albero secco destinato alla spazzatura. Festa ridicola, meno ridicola della scenografia di grandi uomini e di falsi problemi che nasconde il nostro vuoto quotidiano.
Ma perché turbare questo Natale evocando i segnali dell'Apocalisse? L'Apocalisse non è opera nostra. Anche quando l'inaudito è alla porta, dobbiamo inventarci un meraviglioso fittizio giunto da un altro pianeta; perché solo il prossimo è terribile. Perché, in questo giorno in cui ognuno di noi chiude la sua porta al mondo per voltarsi verso la sua famiglia, aprirla così sul vuoto? Nulla ci costringe, se non questa notte di Betlemme: perché se tutto finisce, tutto comincia. E il segno del nero prodigio può invadere il cielo, non è niente in confronto al prodigio di Natale: il minuscolo lampo di luce punta la sua spada nel cuore delle tenebre. Alla fine dei tempi, ancora più sorprendente, risponde la sua origine; alle tenebre della morte, il sole dell'amore. Ma si incarna qui nel sorriso di questa innocenza promessa alla croce, le cui mani stringono il serpente del fulmine.
Suona la mezzanotte. Buon Natale! Che qualcuno lanci qui questo grido, se osa farlo.
 

(La Réforme, 11 dicembre 1954)
Da Finimondo

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