I miei auguri per un anno che fortunatamente se ne sta andando, e soprattutto per il prossimo che spero sia molto diverso, sono racchiusi tutti in un simbolo con il quale, con l’aiuto di Francesco, ho giocato un po’. Me ne sono innamorato tanti anni fa e da allora non l’ho più abbandonato né, lo dico con una soddisfazione più che legittima, lui ha mai abbandonato me. Questo simbolo si porta appresso poesie, libri, canzoni, melodie, pensieri, amori disgraziati, avventure disperate e tutto un mondo racchiuso in una sola parola: libertà. Tutte cose che non hanno nulla a che fare con le bombe né con il terrorismo. Si porta appresso Fabrizio De Andrè e l’icona del Che. Ha viaggiato con Tina Modotti e imparato a conoscere Durruti. Girato film con Jean Vigò e scritto libri con Raymod Radiguet. Si è imbattuto in Machno e nella certezza di parole ricche di significato. Perché le parole, per chi frequenta l’an-archè, sono tutto. Lo sapeva Leo Ferré e lo sapeva pure Piero Ciampi, forse un po’ Gino Paoli, sicuramente Giorgio Gaber. Lo sanno i sobri, quelli che non hanno mai tenuto in nessun conto la proprietà e che vivono dell’indispensabile per non morire; pazzi, fottuti, cari, incredibili sognatori. Quelli che frequentano l’an-archè sanno, ad esempio, che i libri sono importantissimi, che i giornali sono strumenti per comunicare, che le poesie scaldano non solo i cuori ma anche le teste e che un pensiero vale molto di più di un regalo a caro prezzo acquistato con la carta di credito in una boutique del lusso. Quelli che frequentano l’an-archè sanno che per capire occorre vivere e che per vivere capendo occorre studiare e non smettono mai perché il sapere, la cultura, e la consapevolezza di sé sono beni di un valore assoluto, forse è per questo che i dittatori temono gli uomini che sanno. Lo avevano capito i frequentatori dell’an-archè spagnola nei 21 giorni che governarono. Il loro primo atto fu quello di istituire le bibliotecas populares che somigliavano terribilmente ai tabernacoli cattolici, solo che invece di contenere ostie servivano a scambiarsi libri e cultura gratis. Qualche anno fa, durante un viaggio a Madrid che doveva essere meraviglioso e finì invece per essere rovinato da un gran coglione, al Parco del Buen Retiro (quello dove c’è l’unica statua di Lucifero al mondo), capitò di imbattermi in uno di questi scaffali di mattoni con tanto di tetto per riparare i libri dalle intemperie. Ricordo che mi emozionai a tal punto che quel simbolo che portavo dentro di me diventò ancora più caro, ancora più caldo, ancora più mio. Non c’è nulla al mondo di più utopico che frequentare l’an-archè perché, come tutti sanno, è l’unica utopia possibile e io inseguo la mia personale utopia esattamente come tutti i frequentatori dell’an-archè: individualisti, personalisti, egocentrici e altruisti fino alla morte. Lo so, è un augurio strano quello che faccio ai miei 4 lettori e mezzo. Ma è l’unico possibile visto che ho deciso di non mandare il mio cervello all’ammasso e di vivere finalmente di me.
E' Natale. Verrà Carnevale. I miei auguri
Creato il 23 dicembre 2010 da Massimoconsorti @massimoconsortiPossono interessarti anche questi articoli :
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