- i dati pubblicati da Panorama n. 9 del Febbraio 2012 dimostrano che 9,5 milioni di dipendenti, pari al 44,2% degli occupati totali, lavora in aziende sino a 15 dipendenti e , quindi quasi il 50% della popolazione dipendente non é soggetta alle protezioni, in termini di reintegro, previste dall'art.18;
- le aziende, con dimensioni superiori ai 15 dipendenti, in caso di crisi, hanno avuto, almeno sino ad oggi, la possibilità di gestire la flessibilità in uscita con i licenziamenti collettivi, senza avere particolari problemi in termini di autorizzazioni da parte degli organismi governativi.
Non si può negare che la sua enunciazione, dal punto di vista legale, é corretta e non contiene criteri che favoriscano il lavoratore nei confronti del datore di lavoro. I veri problemi, come già scritto nel recente post sono l'orientamento prevalente dei magistrati e la lentezza della giustizia. Ecco allora che il datore di lavoro, sapendo di correre il rischio di doversi tenere dipendenti negligenti e/o disonesti ha due reazioni ben note:
- cerca, nelle assunzioni, di evitare i contratti a tempo indeterminato, preferendo, ovviamente tutte le altre forme contrattuali che, in caso di necessità, gli permetteranno di liberarsi del dipendente alla scadenza dei contratti o perché non contemplate dall'art.18,
- le grandi aziende, in caso di necessità, tentano di interrompere il rapporto di lavoro attraverso la risoluzione consensuale dello stesso, dovendo però mettere mano al portafoglio e sborsare spesso somme considerevoli, tali che molte aziende medie o piccole non si potrebbero permettere.
Qualunque modifica all'art.18, che non tenga conto di queste problematiche, non risolverà il problema dell'impatto psicologico che l'aspetto vertenziale ha sui datori di lavoro.