Quando però si schiariscono i contorni della trama, si riesce a stare svegli e, poco alla volta, a farsi trascinare nel vivo della vicenda: un gruppo di amiche cristiane e musulmane sono stufe dei litigi che nascono tra le due comunità, spesso per motivi futili, semplici pretesti per litigare e scaricare sul ‘nemico’ la propria frustrazione. Danni ai rispettivi luoghi di culto, litigi accesi in piazza, risse in case di ospiti, arroganza contro i bambini: tutto questo nel supposto nome di un dio che, in realtà, non può approvare simili blasfemie. Le cinque donne, allora, preparano un’efficace distrazione per i loro uomini e riservano loro una sorpresa che, proprio perché assurda, mira a farli riflettere e ad accantonare i propri pregiudizi, la cattiveria che covano per una fede diversa dalla loro, ma solo nella forma.
E ora dove andiamo, come detto, ha la forma di una commedia ma non disdegna svolte tragiche, in un’alternanza nel complesso riuscita, a volte tendente al grottesco. I personaggi sono ben caratterizzati, è facile familiarizzare con loro e magari ricordarsi che, in fondo, tutti conosciamo qualcuno che li ricorda: sono stereotipi smussati, che non disturbano. I conflitti alla base della storia, poi, sono molto profondi e comportano scelte difficili, una delle quali mette a durissima prova una delle donne, disposta a proteggere i propri figli anche a costo di farglielo capire con le cattive.
Il finale, una chicca che riscatta l’inizio noioso e non indispensabile, contiene lo spirito del film e non può non suscitare un’esclamazione, del genere: “Ah, ecco!”, mentre si ripensa alla storia guardando scorrere i titoli di coda. Gradevole.
Ho già pubblicato quest’articolo su Cinema4stelle.