E' Pasqua e anche Maninchedda passa oltre

Creato il 25 aprile 2011 da Zfrantziscu
È Pasqua e l'on. Paolo Maninchedda, consigliere regionale del Partito sardo, docente di Filologia romanza, ci regala una sua riflessione su una nuova politica linguistica in Sardegna. Non fosse che della lingua sarda si è sempre poco curato, sarebbe una notizia da niente, come venire a sapere che un cane ha morsicato un passante. E vai così a leggere, speranzoso. Ecco che cosa:Pubblico un articolo, a mio avviso importante, di Giovanni Lupinu sulla politica linguistica in Sardegna. Lo condivido, soprattutto rispetto all’emancipazione da vecchie categorie storiografiche (resistenziale sarda e altre menate…), assolutamente infondate, come ho dimostrato anch’io in Medioevo latino e volgare in Sardegna. Lo condivido rispetto all’appello per una revisione delle scelte politiche fondate non sulla realtà dei fatti, ma sugli auspici ideologicamente connotati di una minoranza di lingua-invasati. Lo condivido per il richiamo agli accademici a non prestarsi alle mode: ce n’è veramente abbastanza di linguisti improvvisati che scoprono etimologie a sentimento e parentele con la lingua degli abitanti di Atlantide, di Sodoma e Gomorra, dei nipoti di Ulisse e dei cugini di Iolao, dei parenti di Davide e del custode delle miniere di re Salomone. Sta tornando in voga, nell’età delle patacche televisive, la generazione dei patacconi: siamo sommersi da libri di esperti domestici di filologia semitica, di editori di testi nuragici, di rimasticatori dei libri altrui, di gente che ancora oggi cita Carta Raspi e sodali”.È nel diritto di Maninchedda aver tanto in astio la lingua sarda da dare a intendere che la sua salvezza stia nella linguistica e nei linguisti accademici e non, com'è, nella politica. Egli prende così come oro colato le tesi del suo collega universitario e condirettore del “Bollettino di studi sardi”: del tutto legittimo. Io sono dell'idea che abbia ragione Roberto Bolognesi che le ha sottoposte a dura e motivata critica, ma non mi sognerei di scrivere che il consigliere regionale sardista è un invasato. Come egli ritiene siano “lingua-invasati” coloro che giudicano errate le analisi sue e del suo collega Lupinu.Nella sua autostima ipertrofica, Maninchedda definisce “menate” le tesi di Lilliu, “minchiate” quelle di Francesco Cesare Casula, “conservatori catalanisti” me e gli altri autori della proposta di Statuto. È convinto di aver inventato la “sovranità della Sardegna”, nel momento in cui, lasciato Renato Soru di cui è stato sponsor della prima ora, si è iscritto al gruppo dirigente del Partito sardo. Con altri nazionalisti avevamo “inventato” quella prospettiva quando ancora lui era un giovane leader prima democristiano e poi popolare. E naturalmente ponevamo l'identità e la lingua sarda al centro della questione nazionale sarda, cosa che il duo aborre con tutta l'anima. Ma questi sono affari loro e, al più, del Partito sardo in nome del quale Maninchedda spesso parla.Resta la meschinità – per me inedita – del suo sdraiarsi sul potere baronale che in questo blog abbiamo imparato a conoscere. Quella frase piena di saccente disprezzo nei confronti di chi scrive libri fuori dell'accademia e l'invito agli accademici a decretarne l'ostracismo sono dei piccoli capolavori. Sembrano fotocopiati dai non pochi documenti che qui abbiamo reso noti e che evidentemente fanno scuola. Adesso sappiamo che nel Tempio della Ragione ci sono una cappella in più e una nuova vestale.

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