Ieri pomeriggio invece del treno ho preso l’autobus per tornare a casa. Passo il tempo leggendo un libro e ammirando il panorama, diverso dal solito. E’ una bellissima giornata e la primavera, un po’ anticipata a dire il vero, sta iniziando a rivestire gli alberi spogli di candidi e fragili fiorellini. Ed è anche venerdì, tutto questo mi mette decisamente di buon umore.
Lo stato d’animo fresco e leggero del pomeriggio marzolino è condiviso anche dalle mie compagne di viaggio di oggi: tre ragazzine al ritorno da scuola che discorrono allegramente dei programmi per il prossimo fine settimana, del tono migliore per lo shatush che intendono farsi a breve e di chi è stato taggato di recente in qualche foto su Facebook. Gli argomenti della conversazione, in cui sono mio malgrado coinvolta a causa della ridotta distanza, non sono a dire il vero di mio interesse, per cui riesco abbastanza bene a concentrarmi sulla lettura. Ad un certo punto però la mia attenzione viene catturata.
“Ma scusa, INERZIA dove si trova di preciso? Non mi ricordo mai se è nel Molise o nella Basilicata”
“Come?”
“INERZIA, la città, dove si trova?”
“Ah, Ah, che scema che sei, INERZIA non è mica una città!”
“Ma che dici?”
“INERZIA non è mica un posto!”
“E che cosa sarebbe allora?”
“E’ uno stato d’animo, tipo: io oggi ho l’INERZIA…”
“E cosa vorrebbe dire?”
“E’ come la depressione, l’INERZIA insomma…”
Penso che anche a Galileo, se fosse stato su quell’autobus al posto mio, sarebbe venuta l’INERZIA e invece di scrivere tanti Dialoghi e Discorsi, sarebbe andato di corsa dal suo parrucchiere di fiducia a farsi lo shatush alla barba