HappyL'altra sera sono morta. Come un'idiota. Ero lì che pedalavo veloce, la musica nelle orecchie, il ritmo che vorticava nelle gambe. Forse cantavo pure, e a squarciagola, perché non puoi non cantarla quella canzone di Pharrel Williams. Anzi, la balli proprio, anche se sei in bici. E sei "happy", appunto.E sì che lo sapevo che bisogna stare all'erta, c'è sempre il cretino che ti apre la portiera a tradimento in questa città di merda dove tutti ti odiano se sei una ciclista e nessuno ti considera se non dopo, per insultarti.Invece, se ognuno di noi prendesse l'auto come fanno gli altri, anche per andare a comprare il pane per esempio, sai che inquinamento ci sarebbe? Dovrebbero fermarlo per sempre, il traffico, se tutti usassero la macchina come quelle lì che vanno sempre in suv e si limano le unghie a ogni semaforo o whatsappano con l'amante, quelle che fanno shopping e poi sfrecciano a prendere il bambino al San Carlo per consegnarlo in fretta alla tata perché loro hanno l'appuntamento dall'estetista. Stronze.È stata una di queste stronze a uccidermi. Chissà a chi pensava, a che cosa. Forse allo smalto da mettersi, se il rouge dior o il pink pink, che cazzo ne so. Fatto sta che è stato un attimo. Io filavo via, la rotaia del tram a sinistra e le auto in doppia fila sulla destra, come al solito. Solo che questa volta non mi sono accorta che nella macchina con le doppie frecce c'era qualcuno. Forse era chinata, non voglio sapere a fare che cosa, e all'improvviso si è sollevata e ha aperto quella maledetta portiera. Mi ha preso in pieno, non sono riuscita a mettere giù i piedi, è stato troppo forte il colpo. E inaspettato. Ho fatto solo in tempo a pensare che non c'era Ettore sul seggiolino dietro. "Tranquilla, Ettore non c'è. Ettore non...". È questo che pensavo quando poi mi ha investito quella macchina.Una Doblò come la nostra. Una di quelle per portare la famiglia al mare o in montagna, che nel bagagliaio ci sta tutta la casa o quasi, puoi partire in cinque per stare tre settimane nel ragusano o a Canicattì, e dentro ci metti tutto, comprese le pinne dei grandi e il lettino del piccolo. Auto fantastica, modesta ma mai sciatta. Una regina, in confronto a quelle cafonate che sono i suv.Infatti mi è dispiaciuto che sia stata una Doblò a mettermi sotto. «Non è colpa tua!», volevo dire al tizio che è sceso dall'auto, le mani nei capelli. «Non è colpa tua, è stata lei, quella cretina con la pelliccia, lo smalto sulle unghie, l'iphone in mano. Quella cretina che balbetta sui tacchi». Ma le parole non mi arrivavano alla bocca.
Che fine idiota ho fatto. Ero lì sdraiata a terra, e mi veniva da ridere. «Un copione già scritto», ho pensato. Poi però ho pensato al resto, ma è stato un attimo. I miei figli, mio marito. Un'immagine, un flash, una feroce scossa di dolore e panico. E per fortuna, subito, il mio cuore si è fermato. Congelati i pensieri. Svuotato il sentire. Pronta a esistere qui, ora, vicina e lontana. Una strana nostalgia, un vago magone, un sentore di rabbia. Nient'altro.