E questo accade agli imprenditori pugliesi

Creato il 26 luglio 2010 da Lalternativa

Una vita serena. Un’impresa artigiana messa in piedi da solo dopo aver imparato il mestiere dalla sua famiglia. Una decina di operai felici di lavorare per lui, una moglie che lo ama e decide di dargli due figli. Tutto procede come in un sogno per il giovane imprenditore di cui vogliamo raccontarvi la storia.

Una storia che qui, nel Barese, da dove ci ha scritto il nostro amico per chiederci aiuto, è all’ordine del giorno. Qui i morsi della crisi hanno trovato terreno fertile. Aziende piccole ma efficienti, condotte da uomini che pur di non lasciare in mezzo a una strada decine di famiglie, sono disposti a vendersi un organo. “So che è illegale – mi spiega quando lo incontro in una stazione di servizio – ma per dare da mangiare alla mia famiglia e a quelle dei miei operai, sono disposto a tutto”.

L’imprenditore di cui scrivo, non mi ha raggiunto in giacca e cravatta, e non è arrivato da me a bordo di una Mercedes. Non era neppure abbronzato e non aveva la pelle liscia. Niente a che vedere con lo stereotipo dell’uomo d’affari che tutti abbiamo in mente. Lui, mani ruvide e callose, è un operaio in mezzo agli operai. Con loro condivide sogni e paure. Ansie e speranze.

“Per questo – mi dice – a loro non ho mai chiesto nessun sacrificio. Piuttosto cerco di tamponare i debiti rimandando il pagamento dell’affitto oppure quello di qualche fornitore. Ma loro lavorano e devono essere pagati per vivere”. Intanto, gli effetti della crisi cominciano a non lasciare scampo: gli ordini tardano ad arrivare, i fornitori si affannano a riscuotere e le banche cominciano a chiudere i rubinetti del credito. “Le banche – mi spiega – se fai un errore ti considerano morto. E mentre gli amici e i parenti quando le cose andavano bene mi erano sempre vicini, ora mi hanno chiuso tutte le porte. Solo mia madre mi ha aiutato fino a quando ha potuto”.

Ogni strada sembra sbarrata. E ora che ha quantificato la cifra necessaria per riprendere a respirare e cominciare a far girare la sua attività, è sicuro di voler vendere un organo per ottenere i soldi necessari a riaccendere la speranza di un futuro per più di 10 famiglie. “Ho bisogno di 150mila euro – mi dice – e per questo sono disposto a vendere una parte del mio corpo al miglior offerente. So che si può vivere anche senza un rene, una parte di fegato o senza un polmone, e io sono disposto a farlo”.

Dopo questa affermazione restiamo entrambi qualche secondo in silenzio, seduti nella mia auto rovente sotto il sole di maggio. Non è facile dire certe cose, soprattutto quando si è giovani. E neppure ascoltarle e appuntarle su un taccuino come se ti stessero dicendo di aver voglia di vendere l’auto. Ma poi, ritorniamo ai nostri ruoli: giornalista e intervistato. Così gli chiedo se abbia voglia di lanciare un appello al sindaco di Bari o al presidente della Regione, insomma alle istituzioni. E lui, come se non avesse voglia di disturbare e chiedere aiuto a nessuno, dice: “Come me in Puglia ci sono molti imprenditori nelle stesse mie condizioni. E se le istituzioni volessero dare una mano a tutti, si troverebbero in difficoltà”. Insomma, l’abitudine di quest’uomo a cavarsela da solo continua a venire fuori dalle sue parole. “Su internet – aggiunge – ho visto che molti vendono gli organi, ad esempio reni, anche a 300mila euro. C’è tanta gente ricca che ha bisogno, e io sono disposto ad aiutarla in cambio del loro aiuto”.

Poi gli chiedo, stupidamente, se questa sia davvero l’unica cosa che resta da fare. “E’ la penultima – dice – perché l’ultima, quella estrema, non l’ho ancora fatta per non lasciare da soli i miei bambini”, che subito mi mostra in una tenerissima foto sul suo cellulare. Penso subito che il gesto estremo non ancora fatto sia il suicidio, ma preferisco comunque non chiedergli conferme. “Non si può vivere così – continua a parlarmi – torno a casa alcune sere senza neanche un euro i tasca. Non posso neppure comprare il latte ai bambini. E non riesco più a dormire al loro fianco sapendo che forse, domani, non potrò dare loro da mangiare”.

Così, poco prima di lasciarmi, dice: “Se ci fosse qualcuno disposto a farmi un prestito, mi impegno a restituirlo con una quota fissa al mese da concordare insieme”.

Ci salutiamo. Il suo cuore è più leggero dopo “aver parlato” con qualcuno della sua storia che deve tenere ancora nascosta. Mentre io sono dispiaciuto di non poter fare nulla per lui. Se qualche nostro lettore fosse in grado di aiutarlo, può contattare L’Alternativa.it e noi lo metteremo in contatto con l’imprenditore.


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