E questo sarebbe, il grande pensatore?

Creato il 10 giugno 2015 da Malvino
Posso anche fare a meno di citare le due firme che oggi, sugli ultimi sviluppi dell’indagine su Mafia Capitale, sono ricorse, come in unisono, all’argomento crociano che «lonestà personale non è sufficiente a risolvere un problema di grave inadeguatezza politica» (Corriere della Sera) e che «il politico onesto è quello capace» (Il Foglio), perché in fondo qui non fanno altro che darmi lo spunto per intrattenermi su un’altra infelicissima pagina di Benedetto Croce, delle tre o quattro che a sessant’anni dalla sua morte ancora resistono all’oblio in cui è precipitato tutto l’ormai inservibile edificio del suo sistema, pagine che d’altronde vengono citate senza mai essere state più rilette, se mai furono lette, perché è a leggerle che rivelano la fragilità dell’assunto che vorrebbero spacciare per granitico. Qui, nel caso de Lonestà politica, trentasettesimo paragrafo dei Frammenti di etica, che sono del 1922, poi confluiti con Elementi di politica e Contributo alla critica di me stesso in Etica e politica, siamo dinanzi ad una pagina che non necessiterà dell’analisi di tutto il testo, come con Perché non possiamo non dirci «cristiani» feci due o tre anni fa (Malvino, 2.12.2012): basterà considerare la friabilità delle ragioni che dovrebbero sostenere l’assunto. Prima di passare a queste, tuttavia, occorre rammentare che questa pagina di Benedetto Croce è del 1921, anno in cui era ministro del V governo a guida di Giovanni Giolitti, un uomo che lungo i trent’anni della sua vita politica fu costantemente raggiunto dalle accuse di cinismo, opportunismo e maneggi d’ogni sorta (cfr. Gaetano Salvemini, Il ministro della mala vita). Forse sarà malevolo il sospetto che Lonestà politica sia stata scritta per mera piaggeria, resta di fatto che, dopo essersi spellato le mani fino al 1922 ad applaudire Mussolini, la critica che muoverà al fascismo non sarà dordine politico, economico o sociale, ma si esaurirà in quella di «malattia morale»: e non si era detto che andassero bandite le «false unificazioni» tra etica e politica? Ma veniamo alla sostanza della questione per come è affrontata da Benedetto Croce. Costruisce la sua pagina come un dialoghetto tra uno di quegli «imbecilli» che avanzano «la richiesta che si fa dell’“onestà” nella vita politica» ed un savio dalla posa olimpica che con tanta santa pazienza continua a ripetere la tiritera che l’onestà è niente senza la competenza. L’«imbecille» – ovviamente – si trattiene dal dirgli: «Grazie al cazzo!», ma, quando infine Benedetto Croce gli fa farfugliare l’obiezione che, «nonostante l’impulso del suo genio», il politico disonesto è di per se stesso portato a «soggiacer[e] ai suoi cattivi istinti», con la conseguenza che è inevitabile «fa[ccia] cattiva politica», quale è la risposta? «Allora, il presente discorso è finito, perché siamo rientrati nel caso in cui la disonestà politica coincide con la cattiva politica». Orbene, come vogliamo evitare che vi rientri, se non col pretendere che un politico sia innanzitutto onesto, e poi, sì, ci mancherebbe altro, pure competente? Nessuna risposta, perché lì il paragrafo chiude. E questo sarebbe, il grande pensatore?

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