Attenzione attenzione! Si andrà ora ad affrontare un tema delicatissimo, che poco spazio ha trovato in queste pagine dal leggendario primo post in poi. Il che è strano, data la mia età, ma nemmeno troppo, dato il mio carattere.
Dall’ alto dei miei lunghissimi diciassette anni, posso informarvi che in cotanta esistenza ho avuto già le mie terribili delusioni d’amour. Anzi, a dire il vero ce n’è stata principalmente una, ma non lasciatevi ingannare dal fatto che sia praticamente sola soletta, perché è marchiata a caratteri di fiamma e sangue negli annali ufficiali. Avevo circa quattro anni (non ridete, maledetti! La parte divertente deve ancora arrivare), e c’era questo coetaneo che giocava spesso con me: nei paesotti grandi come fazzolettini Tenderly tipo il mio, quelli della stessa annata si conoscono tutti benissimo dal giorno della nascita, praticamente conosciamo prima i futuri compagni di giochi dei nostri genitori.
Ad ogni modo, avevo deciso che questo cinnetto identico ad un putto di Raffaello doveva sicuramente essere mio marito, per il semplice fatto che esisteva. Durante una delle nostre trasgressive uscite assieme ai giardinetti, mentre eravamo sballati e fatti duri di soffioni e margheritine, capii che non si poteva più andare avanti così. Camminando beatamente con un pezzetto di cracker in mano, mi risolsi ad agire concretamente per portare gli eventi a mio favore.
A questo punto, immaginatemi mentre metto in atto tutti i sotterfugi seduttivi di cui è capace una bimba di quattro anni – e non sottovalutateli, sono moltissimi, per esempio… bè, mi ricordo che sorrisi – tali sotterfugi parvero sortire l’effetto desiderato, anzi, un effetto anche maggiore: il piccolo Putto mi fissò un attimo, si scaraventò letteralmente su di me come un levriero assetato sulla ciotola dell’acqua, e io finii a terra con questo bimbetto sopra. Qualcosa non andava, perché evidentemente ero stata troppo brava con le mie arti maliziose: un sorrisino e lui voleva già andare al sodo!
Appena il tempo di scandalizzarmi, da brava bambina con principi educativi vittoriani auto-imposti (già allora), e cosa mi combina il futuro marito? Si arraffa il cracker, lo infila in bocca e se ne va via a giocare per gli affaracci suoi. Fu quello il momento, fu quella la rivelazione finale giunta in tenera età, il marchio che mi segnò e mi porterò dietro per sempre come Hester Prynne. Dopo tale esperienza, ebbi la sensazione che nessuna scuola avrebbe potuto insegnarmi qualcosa di più (e lo stato d’animo era all’incirca quello di chi ha ricevuto un gancio destro sui denti).
Pregai Dio che almeno il cracker fosse avvelenato, o andasse di traverso allo sciagurato, causandogli dolori lancinanti da ricordare per l’eternità come io avrei ricordato quell’umiliazione. Niente di niente: lui se lo mordicchiava tipo un criceto sonnacchioso e soddisfatto della sua tristissima esistenza, mentre io cominciavo a covare dubbi sulla reale potenza del Cielo in tali occasioni (da qui possiamo notare i germi del futuro agnosticismo).
Insomma, questo trauma infantile condiviso con voi amati lettori, in modo che possiate farne tesoro per voi e i vostri figli/nipoti/fratelli e sorelle, vi serva di monito vitale per come un banale episodio possa influire sulla vita di una persona. E soprattutto, se mandate in giro un/a bimbo/a con del cibo in mano, controllate sempre chi gira lì intorno.