La sede della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione, 6^ Sez. penale, con la sentenza n. 35513 depositata il 29 settembre 2011 inaugura un nuovo orientamento in materia di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice, reato previsto dall'art. 388 cod. pen.In particolare, la fattispecie oggetto della sentenza dei Giudici di Piazza Cavour riguarda la condotta di una madre affidataria che mette la figlia minore contro il padre, tanto che la bimba rifiuta di incontrare quest'ultimo nei giorni stabiliti dal provvedimento del Tribunale che ha disposto l'affidamento.
In primo grado, il Tribunale dichiara la madre colpevole del reato pevisto dall'art. 388, comma 2^, cod. pen. - il quale stabilisce che "la stessa pena", ovvero la reclusione fino a 3 anni o la multa da Euro 103 a Euro 1032, "si applica a chi elude l'esecuzione di un provvedimento del giudice civile, che concerna l'affidamento di minori o di altre persone incapaci, ovvero prescriva misure cautelari a difesa della proprietà, del possesso o del credito" - e la condanna alla pena di 4 mesi di reclusione, con i benefici della sospensione condizionale e della non menzione della condanna.
In secondo grado, la Corte d'Appello riformava in parte la sentenza impugnata, rideterminando la pena in 600 Euro di multa; confermava nel resto la sentenza di primo grado.
L'imputata proponeva ricorso per Cassazione, che lo ha rigettato.
I Giudici ritengono corretta la motivazione della sentenza della Corte d'Appello, laddove ritiene che il comportamento aggressivo e animoso del padre sia "l'espressione reattiva, nell'ambito del rapporto conflittuale tra due coniugi separati, alla sistematica elusione da parte della (OMISSIS) del provvedimento giudiziario concernente l'affidamento della figlia minore, tanto che il (OMISSIS) in più occasioni aveva dovuto sollecitare l'intervento dei Carabinieri e si era visto costretto a sporgere ripetute querele contro la moglie, che, a sua volta, aveva irrigidito sempre più il suo atteggiamento".
Nella sentenza che qui si annota è precisato che la madre - a causa dei rapporti molto tesi e conflittuali con l'ex coniuge dopo la separazione consensuale - aveva sottoposto la figlia minore ad una vero e proprio condizionamento pesicologico, che aveva determinato in quest'ultima un forte disagio culminato nel rifiuto di incontrare il padre, secondo quanto accertato dai servizi sociali. Questo atteggiamento non poteva essere ricondotto a "una consapevole capacità di autodeterminazione della minore", che all'epoca della separazione aveva 4 anni.
La situazione era degenerata al punto che a tutela della minore era intervenuto il Tribunale dei Minorenni.
I Giudici con l'ermellino precisano che la madre, ostacolando sistematicamente - con il suo condizionamento psicologico nei confronti della figlia- il rapporto tra quest'ultima e i padre, non aveva ottemperato a quanto stabilito dalla sentenza di separazione consensuale omologata dal Tribunale e, soprattutto, "al suo dovere di assicurare alla figlia una crescita equilibrata e serena".
Per questi motivi, la Corte di Cassazione ha confermato la sentenza impugnata, rigettando il ricorso dell'imputata e condannando quest'ultima al pagamento delle spese legali.
Roma, 30 settembre 2011 Avv. Daniela Conte
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