Stamani mi è sorto uno dubbio che aveva lo stesso sapore di pollo bruciato.
Non avevo ancora fatto colazione che avviandomi verso la cucina feci uno scivolone sbattendo la testa contro la porta. A quel punto mi guardai attorno per vedere se qualcuno avesse avuto l’animata idea – propria dei cartoni animati – di posizionare una buccia di banana lì per terra: nessuna buccia. Notai invece che le mattonelle erano lucide, appena lavate.
Come ho fatto a non accorgermene?
Il “sonno” vinse il premio Oscar per la migliore giustificazione; alla “distrazione” venne assegnato il premio critica, perché ammettere di esser stati distratti è un torto dato a se stessi.
Lasciai perdere la dinamica dell’incidente e continuai il mio tragitto verso la cucina. E qui cascò l’asino, o meglio la moka! ”Cavolo!” – perché proprio il “cavolo”, e non il “sedano”? – Cavolo, dissi. Il sonno può sbagliare una volta, la seconda volta non c’èntra più, e arriva il momento di trovare un’altra scusa.
Oh, mano! Tutta colpa tua.
Pensai a lungo alla storia delle colpe, nel bere quell’unico sorso di caffè restante, e mi accorsi di un particolare che trascuriamo spesso: il pensiero.
Non ci pensiamo, al pensiero.
Eppure le cose accadono specialmente mentre siamo sovrapensiero, o quando facciamo qualcosa e pensiamo ad altro o pensavamo di no e invece era sì.
Eppure, che la colpa è del pensiero, non lo pensiamo mai. Oh, pensiero!