La questione, nel merito, è abbastanza semplice: Mineo non è stato «epurato», «messo a tacere» e tutti gli altri sinonimi che si leggono in queste ore. Non abbiamo un nuovo Solženicyn. Come sostiene Salvatore Curreri, professore di Diritto pubblico, sull’Huffington Post, in merito alla speculare vicenda che ha interessato Mario Mauro
Tale sostituzione può avvenire non solo per motivi personali ma anche politici, laddove per l’appunto il dissenso di uno o più senatori rispetto alla posizione assunta dalla maggioranza del gruppo alteri i rapporti di forza sia all’interno del gruppo, sia di conseguenza all’interno dell’Assemblea.
Il confronto in commissione è confronto non tra singoli parlamentari ma tra rappresentanti dei gruppi (e non a caso, come detto, il regolamento qualifica così i componenti delle commissioni). Il che non significa reprimere il dissenso ma evitare che, per circostanze fortuite (il fatto ad esempio che i senatori dissenzienti nel gruppo si ritrovino in maggioranza in commissione) questo possa pesare politicamente di più in commissione di quanto effettivamente valga in Assemblea.
Chi si diletta in paragoni con le espulsioni del Movimento 5 Stelle (un esempio, non me ne vorrà l’autore) dimentica, o nei casi peggiori fa finta di dimenticare, che mettere a processo un parlamentare per aver partecipato a Ballarò è un po’ diverso da ciò che Civati e i suoi fanno, peraltro sotto la luce del sole e in modo legittimo, dal giorno dopo gli esiti delle ultime primarie del PD: comportarsi (e organizzarsi) come una corrente autonoma all’interno di una forza politica più estesa. Se Grillo «silenzia il dissenso» non lo fa in commissione Affari costituzionali ma sulle colonne del suo blog, dove le garanzie e i contrappesi sono molto più labili che in Aula.
L’onnipresente chiosa provocatoria “e se l’avesse fatto Berlusconi?” è quanto di più fuorviante esista, in casi come questo. Il riferimento ossessivo a Berlusconi non è la chiave per arrivare alla soluzione ma il sintomo più cristallino del problema, specie da certe prospettive. Se serve un interrogativo più lecito da porsi, meglio “e se l’avesse fatto Bersani?”. Se a sostituire un deputato in commissione fosse stato l’ipotetico premier Pier Luigi Bersani, oggi Civati parlerebbe di attentati alla Costituzione e prepotenze para-berlusconiane? Ci sarebbero paralleli col fascismo e accorate prese di distanza da supposti metodi autoritari? Una mossa inelegante non è la marcia su Roma: è una mossa inelegante. Interpretabile quanto si vuole, ma con certi limiti di buonsenso.
L’Italicum più che è una riforma è già un cavallo zoppo figlio di patti disattesi, traballanti o al ribasso. Non c’è bisogno di martirizzare il primo dissidente che capita a tiro: per criticarlo basta guardare alle proposte al vaglio del parlamento. Come al solito, però, pare che l’urgenza vera di alcuni sia gridare una variante di “al lupo!” che si ripete ciclicamente, sempre più o meno uguale a sé stessa, a prescindere dal merito considerato e dai regolamenti in ballo. Il problema è esattamente questo, credo: “se l’avesse fatto Berlusconi” molti degli indignati del giovedì avrebbero avuto la stessa identica reazione pavloviana.
Altro blues.
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