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E se vince Mitt Romney? Cosa cambierà nella politica americana?

Creato il 05 novembre 2012 da Candidonews @Candidonews

E se vince Mitt Romney? Cosa cambierà nella politica americana?

E se vincesse Romney? Cosa cambierebbe negli Stati Uniti? Innanzitutto vediamo chi è Mitt Romney:

Willard Mitt Romney, classe 1947, è nato e cresciuto nel Michigan, dove il padre fece fortuna nell’industria automobilistica diventando un importante manager della General Motors. “Figlio d’arte” poiché il padre ha ricoperto la carica di Governatore e fu candidato alle elezioni presidenziali del 1968

Il partito Repubblicano e la convinta adesione alla confessione religiosa mormone (un suo trisavolo fuggì in Messico con le mogli quando il governo proibì la poligamia) fanno di Romney un conservatore vecchia maniera, che ricalca in pratica gli stessi cavalli di battaglia di Bush padre e figlio: patria, Dio, famiglia.

“Abbiamo bisogno di una persona comune alla Casa Bianca, non di un miliardario”, questa è una delle critiche che gli vengono mosse dai rivali . Romney è nato e cresciuto nell’establishment e nei circoli finanziari e politici più esclusivi e la sua storia di capitalista lo vede negli anni ’80 a capo di un fondo di private equity, Bain Capital, che comprava aziende in crisi e le rivendeva dopo averle risanate, con misure che comprendevano licenziamenti di massa.

Qualora il candidato Repubblicano prevalesse diventando il nuovo Presidente degli Stati Uniti, probabilmente assisteremo ad alcuni cambiamenti in campo economico:

Il punto d’attacco di una presidenza repubblicana sarebbe l’economia. Dal 2010, con la rivolta del Tea Party, e poi nell’estate 2011 con lo scontro sul deficit tra Congresso e presidenza, la grande differenza tra i repubblicani e i democratici è l’idea del ruolo dello Stato come regolatore ed eventuale attore economico – in qualsiasi forma.

Cosa farebbe Romney? Non lo sappiamo. Oggi nell’apparato repubblicano sembra averla vinta una fazione più rigorosa. Che manterrebbe le tasse come sono – riducendole ancora se possibile e semplificando la burocrazia – ma taglierebbe in maniera pesante i programmi di welfare. Tra i campioni di questo rigore associato al culto dell’individualismo e a risentimento nei confronti dei percettori di aiuti pubblici c’è il compagno di strada di Romney, il candidato vice Paul Ryan. Una scelta che ha rassicurato la base e restituito il proscenio alla parte ideologizzata dei repubblicani.

Le case farmaceutiche, penalizzate dalla Riforma sanitaria di Obama, guadagnerebbero da una vittoria repubblicana:

Nel frattempo, Romney potrebbe allentare la pressione sulle aziende farmaceutiche e sulle aziende produttrici di dispositivi medici che, al contrario, dall’Obamacare hanno ricevuto introiti minori a causa de piano del Presidente di imporre una tassa del 2,3% sulla vendita dei dispositivi medici estesa a ulteriori spese (si parla di oltre 85 miliardi di dollari) che gravano sulle industrie farmaceutiche per i prossimi 10 anni.

I grandi finanzieri tifano Repubblicano, non c’è che dire:

Gran parte del gotha della finanza americana ha voltato da qualche tempo le spalle al candidato democratico, che però è sostenuto dalla Goldman Sachs e da alcuni importanti hedge funds, tra cui quello del famoso finanziere di origine ebreo-ungherese George Soros. I timori sulla riconferma di Obama sono dettati dal probabile aumento delle tasse a partire da gennaio 2013.

Le imposte sul capital gain passerebbero al 20% dal 15%, verrebbe introdotto un prelievo del 3,8% sui redditi da investimenti per finanziare la riforma sanitaria, mentre la tassazione sui dividendi non avverrebbe più al 15% ma sui redditi, con punte del 39,6% per le fasce di reddito più alte. Wall Street tifa senza dubbio per Mitt Romney, che ha promesso di abolire la legge Dodd-Frank per rilanciare il settore finanziario rimasto al palo dal 2008 e costretto a ristrutturarsi per adeguarsi alla riforma.

Romney ha promesso anche di cambiare la legge Sarbanes-Oxley, approvata nel 2002, per alleggerire gli oneri burocratici alle aziende. Il settore finanziario si aspetta anche altri sconti: azzeramento delle tasse sul capital gain e dividendi per chi guadagna meno di 200.000$ l’anno, lasciando l’aliquota al 15% per chi supera questa soglia. Inoltre, Romney potrebbe tagliare le tasse federali sui redditi aziendali al 25% dal 35%.

Per Romano Prodi una vittoria di Romney significherebbe un peggioramento dei rapporti Usa-Cina:

Obama alza i toni contro la Cina per esigenze elettorali, ma sa che la trattativa e’ l’unica arma possibile. E’ consapevole che la concorrenza cinese – in tutti i sensi, non solo nella produzione di manufatti – e’ ormai consolidata e che una confrontation sarebbe impossibile. Percio’ usa l’arma dalla negoziazione, per quanto dura possa dimostrarsi. Romney invece e’ convinto che la Cina sia ostile agli interessi statunitensi e che quindi vada piegata. Si tratta ovviamente di una strada piu’ tortuosa e pericolosa.

Anche con la Russia potrebbero esserci problemi:

Romney ha dichiarato che la Russia è la maggiore minaccia strategica per gli Stati Uniti. Non è chiaro di che cosa stia parlando. Forse non lo sa neppure lui. Ma da un po’ di tempo a Washington c’e’ il sentore che le relazioni con Putin si siano deteriorate. Questo per i passi da gambero in senso democratico del governo di Mosca, e per le ricorrenti critiche di Putin al comportamento dell’America sulla questione siriana e non solo. Se Romney assumesse un atteggiamento più ostile alla Russia questo avrebbe ricadute sulle relazioni tra Mosca e Bruxelles.

Infine i rapporti con l’Europa. Romney non vede di buon occhio il ‘vecchio Continente’ e lo ha usato spesso per attaccare Obama:

L’Europa non è la terra promessa di Mitt Romney, né la diplomazia il suo cavallo di battaglia. Almeno fino al 6 novembre.  Quando il candidato repubblicano alla Casa Bianca lancia slogan strumentali anti-europeisti sconcerta, disorienta i mass media e solleva polveroni, dividendo l’opinione pubblica.
L’ultima uscita sull’America incamminata «verso una crisi economica come quelle in Italia, Spagna e Grecia», preceduta da uno spot contro «Barack Obama che ha venduto Chrysler agli italiani», ha quanto meno spiazzato le nutrite comunità di immigrati degli Usa. Per non dire degli alleati e amici di Washington Oltreoceano.


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