Cioè, non è che uno deve andare a Houston tutte le settimane o vedersi un concerto di Lenny Kravitz ogni quindici giorni per stabilire che alla fine non è stata nemmeno troppo orribile, questa settimana.
A rendermela più che sopportabile sono stati due esami brillantemente passati dalle due universitarie di casa (che dopo tre settimane di isterismi alla non-ce-la-posso-fare è comunque una gran cosa), un piacevolissimo aperitivo con colleghi e concorrenti (di quelli in cui si spettegola a ruota libera e sai che c'è soddisfazione anche in questo) e un film "positivizzante" al cineforum, il penultimo prima della ripresa autunnale.
Il film è Il Figlio dell'altra, di Lorraine Lévy, e rivisita, in una chiave storico-politica particolare, la classica storia dello scambio in culla.
Sintesi estrema: cosa succederebbe se in una notte di combattimento, in un ospedale venissero scambiate due incubatrici, così che, cessato l'allarme, a una mamma israeliana venisse consegnato il bambino partorito da una donna palestinese, lasciando a quest'ultima un piccolo ebreo?
Lo scambio viene scoperto quando i due ragazzi stanno per compiere 18 anni e il giovane Joseph si presenta alla visita militare obbligatoria. Un gruppo sanguigno incompatibile è il fattore scatenante che porta alla sconvolgente scoperta: Joseph è Yacine e Yacine è Joseph.
Il tema è tutt'altro che leggero e l'assurdità della situazione arriva al paradosso, soprattutto tra persone da sempre abituate a considerarsi nemiche.
E mentre le madri giganteggiano (va bene, il film è di mano femminile), tutti i protagonisti maschili si dibattono nel mare di incertezza e di privazione di identità nel quale sono piombati d'un tratto.
Ora, lo so perfettamente che il film è buonista e il finale aperto non è che lo spiraglio su una purtroppo irrealistica speranza, però è un film che fa anche bene.
Intense e commoventi le due madri. Belli i due ragazzi. Combattuti i padri.