È stato bello essere comunisiti e fascisti. ma ora creiamo la nuova italia.

Creato il 09 maggio 2013 da Laperonza

Non sono mai stato comunista, di sinistra sì ma comunista no. Eppure c’è stato un periodo della mia vita, un lungo periodo, in cui mi sono sentito parte di un insieme identificabile o, meglio, identificato da alcuni con il termine “comunista”. Parlo di quei quasi vent’anni in cui l’Italia che pensa, che non ha secondi fini, che considera lo Stato una comunità e non una vacca da mungere, si è omogeneizzata in virtù del comune sentire nei confronti di chi, invece, intendeva e riusciva nel suo intento di andare a governare il Paese per soddisfare soltanto i propri bisogni personali. Fu proprio Berlusconi, colui contro il quale (e uso la parola “contro” non a caso) si era coalizzata mezza Italia, a definire l’avversario, senza distinzioni, “comunista”. In quel caso, tutto sommato, la definizione mi stava bene, non la reputavo offensiva nonostante il mio non essere comunista.

Questo sentimento condiviso di avversione, quando non di odio, nei confronti di Berlusconi ha generato, dall’inizio degli anni ’90 fino a pochi mesi fa, una cementificazione di idee, pensieri, persone disomogenee unite dal solo collante dell’essere contro. Era invero un bel sentire: il senso di appartenenza può essere molto appagante e, in questo caso, esso era ben forte e molto aggregante; ma ha prodotto, nel tempo, mostruosità delle quali ci stiamo rendendo conto solo oggi.

Nella convinzione di essere dalla parte della ragione, cosa di cui sono ancora certo, in molti non abbiamo visto che, dalla nostra parte, vi erano comportamenti anch’essi censurabili anche se non paragonabili alla profonda immoralità che contraddistingueva e ancora contraddistingue il politico tipo di destra. Ma a sinistra, nel corso degli anni, sono stati commessi errori madornali, si sono compiuti atti criminali, si è sottaciuto sugli stessi e, soprattutto, si è imperniato il concetto di politica sull’antagonismo a Berlusconi perdendo, mano a mano, propositività, idee, coerenza.

Il risultato macroscopico lo vediamo oggi nelle vicende accadute dopo le ultime elezioni: un amalgama disarticolato di pensieri opposti che risponde al nome di PD, un governo in cui si sono assemblati amici, nemici e semplici conoscenti con nessuna idea e nessuna strategia per portare l’Italia fuori dalla crisi, l’antipolitica galoppante che combatte addirittura se stessa e Berlusconi ancora in sella a dettar legge al Paese che lui stesso ha condotto, con la complicità di tutti, ma proprio tutti, sul ciglio del burrone.

Oggi questo sentire comune di cui dicevo all’inizio non c’è più e ciò ci lascia spiazzati. È vero che il sentimento “contro” Berlusconi è ancora ben forte, anzi, si rafforza ancora di più, ma manca l’omogeneità della reazione, manca l’aggregazione degli oppositori che, invece di coalizzarsi contro il “nemico comune”, oggi combattono su più fronti, contro l’antico nemico ma anche contro i nuovi che, una volta, erano suoi alleati. È l’epoca del tutti contro tutti, 5 Stelle contro sinistra, Sel contro 5 Stelle, PD contro, soprattutto, se stesso. Il risultato è che Berlusconi è tornato al governo ma lo può far cadere quando vuole, andare alle elezioni e stravincere ancora una volta.

Come se ne esce? Credo che l’unica strada sia quella che porta fuori dagli steccati ideologici. Purtroppo o per fortuna le categorie politiche che conosciamo oggi non funzionano più. Intendiamoci: se parlo con uno di destra della storia d’Italia rischiamo di picchiarci dopo due minuti, ma se parlo con uno di destra, a patto che possieda una moralità, di quello che bisognerebbe fare per la mia città, le soluzioni si trovano e spesso sono concordanti. È forse giunto il momento di estrapolare la cultura politica dal progetto politico, di lasciare la discussione storica nel suo ambito e far partire la discussione programmatica sui problemi concreti.

Si dovrebbe partire dal piccolo, dalle città, approfittando di questo anno che separa gran parte delle amministrazioni locali dalle elezioni, per creare dei laboratori politici sperimentali e innovativi dove non si incontrino più i partiti per studiare coalizioni e strategie ma si ritrovino i cittadini per discutere di programmi e progetti, lasciando le tessere e le bandiere a casa. Sia la gente di buona volontà a tirare fuori l’Italia dal pantano, siano i politici esperti e cittadini volenterosi a creare la nuova politica. Non c’è rischio di inquinamento da parte dei soliti vecchi marpioni in cerca di riciclo: le persone pulite sanno riconoscersi tra loro, probabilmente dall’odore.

Io spero di vedere un bel movimento nella mia città, fatto di donne e uomini che hanno voglia di impegnarsi senza secondi fini, che inizino a parlare fra loro, a dire quello di cui c’è veramente necessità, accettando l’aiuto di chi ha più esperienza, rifiutando le etichette e i vecchi giochi di forza delle segreterie politiche. C’è un anno prima delle elezioni amministrative: ci si può provare. E se funziona si può portare tutto su scala nazionale.

Luca Craia


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