La trama (con parole mie): la famiglia Ciraulo vive di quanto Nicola, padre di Serenella e Tancredi, recupera aiutato dal figlio e dal suo vecchio genitore dalle navi in disarmo, rivendendo metallo per non annaspare tra un debito e l'altro nel profondo della periferia di Palermo.
Tutto pare scorrere in una routine quasi normale fino a quando a seguito di un regolamento di conti che vede protagonista il cugino di Tancredi la piccola Serenella viene uccisa da un proiettile vagante: spinto da un consiglio amichevole, Nicola avvia la trafila burocratica che dovrebbe portare ad un risarcimento dello Stato legato alle vittime della Mafia.
E' l'inizio di un vero e proprio calvario per i Ciraulo che, al momento dell'arrivo della sospirata cifra, avranno già minato il loro equilibrio riversando tutti i sogni, le aspettative e la voglia di riscatto nell'acquisto di una Mercedes che possa farli apparire come i signori del quartiere.
Ma i guai saranno appena al principio.
Negli ultimi anni il Cinema italiano ha vissuto uno dei suoi periodi indubbiamente più cupi, con pochissime proposte di valore a doversi dannare facendo da contrappeso ad una quantità esagerata di titoli di bassissima lega che, a scapito di titoli ben più interessanti usciti all'estero, continuano ad occupare sale inutilmente impedendo, di fatto, la distribuzione dei suddetti.
Quando, dunque, a fare capolino sul grande e piccolo schermo sono invece proposte che meritano spazio e considerazione, è sempre un piacere parlarne, quasi grazie alle stesse si potesse prendere una boccata d'aria sana rispetto all'apnea cui siamo soliti fare fronte settimana dopo settimana: è il caso di E' stato il figlio, interessantissimo lavoro firmato da Daniele Ciprì - che qui in casa Ford si amava già dai tempi delle collaborazioni con il suo socio Maresco - in concorso all'ultimo Festival di Venezia ed anche ai tempi accolto con buon successo dal pubblico come dalla critica.
In bilico tra romanzo popolare e opera d'autore - splendida, come sempre nelle opere del regista, la fotografia -, commedia grottesca e macchiettistica e dramma senza ritorno, satira sociale e ritratto di un'Italietta che tutti noi ben conosciamo, seppur rapportata ad epoche e luoghi differenti da quelli cui siamo abituati la vicenda della famiglia Ciraulo è il gusto estetico di Sorrentino - soprattutto quello de L'amico di famiglia - che assorbe la pacchiana estetica di Tano da morire, l'arte di arrangiarsi che diviene rappresentazione - teatrale quanto la messa in scena - di un Paese allo sbando come il suo popolo, pronto ad attaccarsi a finanziamenti statali e status symbol che possano permettere di apparire ben più importanti, sicuri ed invincibili di quanto non si sia in realtà.
Peccato soltanto per uno script non sempre all'altezza delle ambizioni artistiche e di analisi sociale dell'opera, che finisce per lasciare in secondo piano sottotrame potenzialmente interessanti - lo strozzino, il rapporto tra Tancredi ed il padre, il ruolo di Busu nel presente di narrazione - sacrificandole sull'altare dell'immediatezza e dell'apparente leggerezza dell'opera, forse sperando in questo modo di stupire ancor di più lo spettatore con una conclusione amarissima e terribile, ed una sequenza - quella che porta al titolo della pellicola - da brividi per intensità e contenuti, emblema di quello che la Mercedes tanto ambita da Nicola Ciraulo e famiglia diviene se applicata ad eventi apparentemente fuori dal controllo e dalla scombinata ma confortante quotidianità.
Come fu, inoltre, per La prima cosa bella di Virzì, la collocazione temporale non influenza il fatto che in questi specchi deformanti - ma solo fino ad un certo punto - sia presente tutto il carattere - in qualsiasi accezione si possa pensare allo stesso - del Nostro Paese, che ormai ci ha abituati a scenari che da grotteschi sono divenuti tristemente reali, figli di una cultura fortemente sponsorizzata da una certa parte politica che ha portato ad alimentare il desiderio di "Mercedes" dell'italiano medio impegnato in lavori che non lo gratificano, pronto a ritagliarsi la sua fetta di ruberie ed impegnato a dimostrare che la sua famiglia è e resta la migliore del circondario, sempre che non le si vada a guardare in casa o sotto i tappeti.
La polvere di questa Terra dei cachi in disarmo come le navi disossate dai disperati come Nicola, che non riconosce suo figlio, incapace di riconoscersi a sua volta in uno stato sociale che non gli apparterrà mai e costretto a rifugiarsi in coda all'ufficio postale, o nelle storie che tanto criticava del nonno, ma trova un esempio di carattere e senso compiuto proprio tra le mani di quello che sarà il suo assassino.
Almeno fino a prova contraria.
Perchè alla fine, lo dice anche la famiglia, è stato il figlio.
Conviene a tutti, quasi quasi anche a Tancredi.
O forse no. Ma tanto nessuno lo verrà a sapere.
Non in questo Paese dalla mano lunga facile e dalle bocche cucite.
MrFord
"I come italiani i come italiani
I come innamorati i come idioti
I come i piu' furbi insospettabili
I come italiani incorregibili
I come incazzati incorruttibili
I come impossibile non amarli piu'."
Fabio Concato - "Bell'Italia" -