Già questo potrebbe bastare per inquadrare a grandi linee la conformazione di “E’ Stato il Figlio”, una pellicola che punta le sue fondamenta proprio su un larghissimo uso dell’assurdo e del grottesco. Impostata come una tragicommedia, l’opera di Ciprì muta la sua fisionomia man mano che gli accadimenti trascinano lo spettatore verso la risoluzione dell’illogico introduttivo, sfociando quindi a tutti gli effetti in un horror profondissimo nella fase di chiusura. Le modalità con la quale la trama riesce a sovvertire le ipotesi in successione a un evento atroce diventano presumibilmente uno dei pregi maggiori da poter affibbiare al film, che spiazza, direttamente in linea con il DNA di una famiglia inverosimile, lo svolgimento di una storia imprevedibile e inaudita.
Presentato in concorso alla 69^ edizione del Festival di Venezia, “E’ Stato il Figlio” si impone allora per la sua non paura di dimostrarsi sfrontatamente brutto, cattivo e agghiacciante. Alterato con una fotografia tendente al giallastro e poi al grigio pronta a valorizzare ancora di più in maniera pesante la cornice di disgusto per una famiglia priva di valori e aggrappata all’apparenza e al denaro. Un esempio che speriamo non esista in nessun posto al mondo, sebbene al suo interno l’ombra dell’italiano recente cominci ad avere un certo peso specifico.
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