E ultima venne la virgola. Riflessioni sull’attività di editing

Da Sulromanzo

Qualche giorno fa i collaboratori di Sul Romanzo sono stati chiamati a pronunciarsi su un problema posto da un collaboratore che ha riferito di alcune correzioni inserite dal coordinatore del suo gruppo su un suo articolo per il blog. L’articolo risultava, secondo l’autore, modificato in modo sostanziale tanto da incidere sul senso complessivo delle sue parole. Una povera virgola, spostata, eliminata, aggiunta era tra i protagonisti della disputa. La sua presenza, assenza o fuga in qualche anfratto del discorso incideva troppo sul significato del testo.

Ho seguito il dibattito scorrendo i messaggi di posta elettronica giunti uno dietro l’altro ad arricchire di osservazioni e idee tutta la questione. Non è mia intenzione ripercorrere ogni dettaglio. Mi piace sottolineare che ho ricevuto l’impressione di una grande vitalità del blog. Certo, siccome anch’io sto scrivendo per Sul Romanzo, il rischio è di lodare me stesso.

Voglio correre questo rischio, cogliendo l’occasione per riflettere su come funziona e in che cosa consiste l’attività di editing, scegliendo un punto di vista molto particolare, quello della persona che ama scrivere e che scrivendo, spesso è portato a chiedersi quali potrebbero essere i punti deboli, tanti probabilmente, che un eventuale editor potrebbe individuare nelle parole in corso di uscita dalla penna.

Chi scrive è un ignorante in materia, tecnicamente parlando, perciò l’editing è una scatola chiusa e sconosciuta. Proverò ad aprirla descrivendo quello che mi sembrerà di trovarci. Prenderò di certo qualche abbaglio… Se proprio avrò l’impressione di perdermi posso sempre lanciarmi sulla pagina principale di Sul Romanzo dove campeggia una definizione di editing esauriente e precisa.

Dunque credo che compito dell'editor sia anche quello di controllare che non ci siano errori. Forse non è la sua funzione più caratterizzante ma resta sempre una fase importante. Questo controllo, questa fase di correzione mi fa venire in mente una figura che non ho mai incontrato direttamente ma che mi ha sempre suggestionato: il correttore di bozze. L'ho sempre immaginato come un eroico lavoratore piegato sul tavolino nelle redazioni dei giornali per consentire l'uscita del quotidiano la mattina dopo.

Credo sia una figura ormai superata, ma ho voluto farne cenno per rendergli omaggio in un periodo storico in cui programmi e computer dovrebbero difenderci dagli svarioni di grammatica.

Alcuni amici che lavorano in varie redazioni mi hanno riferito che gli articoli e i servizi devono essere scritti con grande semplicità. Immagino allora che un'altra fase del lavoro di editing sia la semplificazione di un testo. Questo è molto interessante e si presta ad alcune osservazioni. Perché gli articoli devono essere così semplici e facili da leggere? Sarebbe forse possibile rispondere: per un'esigenza di chiarezza, oppure per una volontà di essere diretti, immediati, per arrivare meglio al fruitore finale. Sì certo, ma l'impressione è che ci sia un'altra motivazione fondamentale, relativa alla considerazione che i direttori dei giornali o i responsabili delle redazioni hanno dei lettori. Questi probabilmente sono molto poco stimati nelle loro doti intellettuali di comprensione, da parte di chi fa giornalismo. Da ciò la ricerca di una semplicità a tutti i costi. In quell'espressione “molto poco stimati”, vi prego leggete pure ben altre parole che forse vi vengono in mente. Senza indugi.

Si tratta di un punto molto importante perché ci fa capire la ragione di una continua concorrenza al ribasso nella qualità e ricchezza culturale di una certa produzione editoriale. Se ammettiamo che il lettore è stupido e vogliamo vendere, cerchiamo di scrivere scemenze in grado al massimo di divertire un po'! Sarebbe un discorso lungo ma vale la pena di porre due domande, l'una dietro l'altra. Quando la coscienza di un popolo si abbassa così tanto, da cosa dipende? Da una sua intrinseca disposizione verso la mediocrità e la superficialità o da una classe dirigente che continua ad offrire la facile e banale evasione invece dello strumento culturale e dell'analisi e quindi di una “critica” visione del mondo e della società?

Una terza funzione che l'attività di editing probabilmente comprende è quella dell'adattamento. Mi piace pensare che si tratti di una ricerca di coerenza interna della forma di un testo, libro, saggio o articolo.

Se un romanzo ad esempio mantiene un certo tono, una certa compresenza di dialoghi e descrizioni per gran parte del suo svolgimento e poi, per qualsiasi motivo, cambia registro rischiando di disorientare il lettore, deludendolo o stancandolo, forse un bravo editor può intervenire per ridare freschezza complessiva al lavoro. Credo che sia un contributo importante e di grande aiuto per uno scrittore.

Infine c'è un ulteriore aspetto della scrittura. È l'elemento che secondo me più caratterizza la personalità, l'intenzione, i valori, le idee e il punto di vista di un autore. È lo stile.
Che cosa è lo stile?

Nikolas Coupland, professore all'università di Cardiff, dove dirige il Centro di ricerca sul linguaggio e la comunicazione, ci aiuta a rispondere a questa domanda con un libro intitolato Style, language variation and identity, pubblicato da Cambridge University Press. Già il titolo individua una relazione significativa tra stile, appunto, linguaggio e identità. L'uomo è ciò che dice e come lo dice.

Il modo di parlare di un essere umano ci svela tanti segreti sul suo conto, sul suo passato, le sue esperienze, le sue convinzioni, la sua cultura, i suoi valori.

L'autore analizza gli strumenti della sociolinguistica per dimostrare come dal linguaggio sia possibile individuare il significato sociale che le parole e le interazioni linguistiche assumono in ciascun contesto culturale ed umano.

Con particolare riferimento alla scrittura è importante sottolineare che lo stile può essere anche una caratteristica che uno scrittore riesce a donare ad un suo personaggio, rendendolo così perfettamente caratterizzato.

Faccio l'esempio di un grande scrittore, Leonardo Sciascia. Un caro amico di madrelingua inglese mi chiedeva una spiegazione su una frase trovata ne Il giorno della civetta e pronunciata da un personaggio:

“Se non sono completamente rovinato, lo debbo a lei: e al governo che, per la verità, della crisi dello zolfo si prende preoccupazione...”

Senza specificare di chi si tratta e della situazione in cui questa affermazione è pronunciata, proviamo a pensare a quante informazioni ci trasmette lo scrittore. Il lettore può farsi un'idea sull'atteggiamento del personaggio di fronte al potere, può delineare i suoi valori e quel modo di descrivere il governo che si prende cura di un problema (il verbo prendere che precede il sostantivo è quasi una carta d'identità) è un' indicazione perfetta sulla sua cultura, la sua estrazione sociale, le sue convinzioni intellettuali.

Dal dialogo e dallo stile con cui due o più personaggi interagiscono riceviamo un tono generale della narrazione, un'espressività che costituisce spesso la differenza tra un piccolo libro e un grande capolavoro. È quanto ci viene insegnato e illustrato in un libro di un docente di letteratura inglese, Peter Womack, dal titolo Dialogue, pubblicato da Routledge. L'autore ripercorre i diversi stili del dialogo, da Platone all'Illuminismo, nei diversi generi letterari, in un viaggio affascinante da cui comprendiamo come la storia dell'uomo potrebbe essere ripercorsa attraverso le sfide e i confronti verbali: litigi, discussioni, calorose espressioni di odio, amore, invidia o rimorso.

Ma non possiamo dimenticare che un'altra componente dello stile è la stessa grammatica. L'eccessiva presenza o assenza di avverbi, preposizioni, l'inversione della normale struttura della frase, l'utilizzo più o meno numeroso della frase passiva denotano appunto uno stile di scrittura. È quanto mostra un libro di Virginia Tufte della University of Southern California, dal titolo Grammar as Style.

Una cosa mi sembra non sia particolarmente sottolineata in questo libro: il fatto che lo stile di uno scrittore può arricchirsi anche grazie a quel meraviglioso fenomeno che porta la lingua ad evolversi, a cambiare anche attraverso mutazioni nelle modalità con cui possiamo ricevere, in quanto lettori, la fecondità espressiva di un linguaggio che pone, attraverso l'uso stesso, basi nuove per regole in divenire.

È la trasgressione stessa della grammatica per giungere a nuove potenzialità descrittive. È la scrittura che si fa serva della nostra sensibilità e si adatta al sentimento, a costo di lasciare indietro la perfetta razionalità dello scrivere.

A questo proposito Luigi Capuana, sul Fanfulla della domenica del 14 gennaio 1883, recensendo le Novelle rusticane, così si esprimeva:

“Il lettore che incontratosi nelle seguenti righe del Verga: Questa, ogni volta che tornava a contarla, gli venivano i lucciconi allo zio Giovanni, che non pareva vero, su quella faccia di sbirro; il lettore che, incontratosi in queste righe del Verga, può fermarsi a riflettere che non c'è affatto la grammatica, è un uomo disgraziato a cui la natura ha voluto negare ogni più piccolo senso d'arte. La lingua, la grammatica, il bello stile per loro stessi non valgono nulla. Sono mezzi più o meno efficaci, secondo la mano che li adopera; tant'è vero che i grandi scrittori, quando è capitata l'occasione, si son tutti infischiati delle regole ed hanno avuto il gran coraggio di sgrammaticare. Infatti non ha il diritto di sgrammaticare chi vuole”.

E continua ancora riflettendo sul rapporto tra stile ed opera d'arte:

“Al cospetto di un'opera d'arte, di quelle che sono veramente tali, la sola questione possibile, anzi giusta mi par questa: i mezzi adoperati dallo scrittore, la lingua, lo stile, il disegno, il colorito si compenetrano talmente con essa che, mutati o alterati in qualche punto, non ne muterebbero e non ne altererebbero la fisionomia, da ridurla l'opposto di un'opera d'arte?”

Certo si potrà osservare che Verga era Verga, che capolavori come I Malavoglia e l'uso perfetto di tanti strumenti espressivi come il discorso indiretto libero, sono casi da genio della letteratura...

Scusate però, mi fermo e lascio ancora la parola a Capuana:

“Certamente lo stile del Verga non è un cliché da togliersi in prestito. È qualcosa di così intimamente suo, che bisogna lasciarlo adoperare a lui solo. Ma se tutti noi si tentasse di fare quello che ha fatto lui, cioè di formare uno stile che ricavi dalla nostra personalità la sua viva efficacia, arriveremmo più facilmente – avendo ingegno di artisti – ad essere, alla nostra volta, potenti ed originali del pari”.

Un perfetto editor, allora, forse dovrebbe essere in grado di riconoscere lo stile di uno scrittore, di salvaguardarlo e rispettarlo. E se uno scrittore volesse spingersi a essere potente fino alla ricerca di nuove modalità espressive, forse non è per presunzione ma per la voglia di non rinunciare mai a pensare in modo originale.

Adesso lascio queste righe all'amico Alessandro Puglisi, mio Web Content Manager presso il blog Sul Romanzo; anche lui dovrà fare l'editing di queste pagine. Sono certo che una povera virgola la troverà fuori posto. Spero non molto di più.

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