Ebano: rileggo l’Africa di Ryszard Kapuscinski, pensando alla tragedia di Lampedusa

Creato il 09 ottobre 2013 da Maryandthebooks @MaryTraf

E’ passata quasi una settimana dal tragico naufragio di Lampedusa ed anch’io ne voglio parlare, ma a modo mio. Voglio rendere omaggio alle persone annegate ed ai superstiti su questo blog, e dunque parlando di libri. Sì, di libri, perché per uno strano e fulmineo collegamento mentale, all’indomani del naufragio, in piena ondata polemica e sulla scia dello scalpore suscitato da quella parola, vergogna, pronunciata tra gli altri da Papa Francesco, a me è venuto in mente un nome, Ryszard Kapuscinski, ed un libro, Ebano.

Mi ci è voluto un po’ per scoprire l’opera di questo grande reporter e scrittore, ma una volta iniziato, ho divorato uno dietro l’altro i suoi libri, compreso questo, in cui racconta i suoi anni africani come inviato di un’agenzia di stampa polacca. Premessa: non conosco ancora (purtroppo) l’Africa, le mie visite si limitano a qualche incursione nel Nord (Tunisia, Marrakech, Tripoli diversi anni fa). Però leggendo Kapuscinski ho avuto l’impressione di iniziare a saperne un po’ di più. E mi sono spiegata, in un certo senso, anche il perché mi sia venuto subito in mente Ebano, letto ormai diversi anni fa, guardando le immagini di Lampedusa. Perché mi ronzava in testa quella parola, vergogna, e l’ho collegata a molti passi dei racconti di Kapuscinski, ed ho pensato che non ha tutti i torti chi parla oggi di vergogna. Io però ho pensato più ad una sorta di vergogna “atavica”, per così dire.

Ryszard Kapuscinski

Kapuscinski nel suo libro racconta della genesi coloniale e dello sfruttamento del Continente, del processo di indipendenza di Stati africani di fatto mai esistiti ma creati a tavolino dagli occidentali, di crisi interne tra gruppi etnici e tribù trovatisi improvvisamente a dover condividere questi Stati, e poi ovviamente delle tratte degli schiavi, dell’oro e dell’avorio, di natura rigogliosa soggiogata dall’uomo e al tempo stesso di giungle e altopiani inospitali percorsi da popolazioni comunque in cammino perché sempre in cerca di qualcosa.
Kapuscinski racconta l’Africa per una decina d’anni, dal 1958, tra andate e ritorni nel Continente.

Sono anni cruciali e delicati perché iniziano i primi processi di indipendenza. Ci descrive eserciti coloniali in fase di arruolamento di africani senza voler cedere le proprie posizioni di comando, ci racconta le città divise in almeno tre zone come a Dar Es Salaam, quelle rigogliose e magari vicine al mare delle ville dei ricchi, i quartier generali dei nuovi Governi, i quartieri dei poveri, africani ed immigrati.

Ci racconta di un Continente dove i circa 10mila regni e comunità tribali, privi di Stato ma autonomi a metà XX secolo, furono racchiusi dagli Occidentali in appena una quarantina di colonie, dove sarebbero riaffiorati gli antichi rapporti interetnici una volta sciolti i legami con la Gran Bretagna o il Portogallo.
E allora mi è venuta voglia, all’indomani della tragedia di Lampedusa, di rileggere queste pagine e di ricordarmi che, in fondo ma neanche troppo, non possiamo far finta di nulla.
E vi lascio con la prefazione di Ebano, l’Africa come la vedeva Ryzard Kapuscinski:

Questo libro non parla dell’Africa, ma di alcune persone che vi abitano e che vi ho incontrato, del tempo che abbiamo trascorso insieme. L’Africa è un Continente troppo grande per poterlo descrivere. E’ un oceano, un pianeta a se stante, un cosmo vario e ricchissimo. E’ solo per semplificare e per pura comodità che lo chiamiamo Africa. A parte la sua denominazione geografica, in realtà l’Africa non esiste”.


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