Si è discusso per quasi due ore di cartelli e oligopoli, di dignità del lavoro (che andrebbe) retribuito, di qualità nella digitalizzazione.
Alla fine, nel consueto momento in cui si chiede al pubblico se ci sono domande, una signora ha chiesto la parola. Insegnante di italiano da trent'anni, ci ha raccontato la sua duplice esperienza con l'editoria a pagamento, di come abbia pagato X euro all'editore e acquistato come da contratto Y copie, ma di non aver ricevuto il compenso per i diritti in quanto i librai di zona non hanno venduto (sempre come da contratto) Z copie. La signora è intervenuta per chiederci aiuto: "Ho un terzo romanzo pronto, ma non so che fare".
Ecco. Quando parliamo di digitale, e ne parliamo tanto, bene e con passione nel corso di eventi come Ebookfest (e come Librinnovando, coming soon), dovremmo tenere a mente che la vera strategia di sopravvivenza non è trovare un rimedio per resistere alla politica, ad Amazon, all'oligopolio dei grandi gruppi editoriali italiani.
L'editoria italiana è alimentata anzitutto da numerosi aspiranti autori a cui non interessa tanto "scrivere", quanto "pubblicare". Da persone ancora convinte che pubblicare a pagamento sia normale (quando è uscito La lettura digitale e il web diversi parenti mi hanno chiesto quanto ho pagato, senza vederci nulla di male). Da persone che non leggono ebook, analogamente a chi cinquecento anni fa rifiutava di leggere i libri a stampa. Da un modello di business editoriale pensato appositamente per attirare "una tantum" chi abitualmente non legge (quanti lettori forti hanno acquistato la trilogia delle 50 sfumature?). Da persone che leggono e basta, fregandosene di cartelli e politiche di mercato.
Ecco, interventi come quello della signora riportano per cinque minuti al "mondo reale", il mondo in cui viviamo e di cui troppo spesso ci dimentichiamo. Sarebbe bene fare tutti un passo indietro e (ri)educarci alla buona lettura e alla buona scrittura. Chissà che da lì non derivi anche una buona editoria.