LORENZO SPANO' - L'ALOPECIA DEL TENNISTA Il dott. Ralhberger era il manager di diversi artisti che piazzava a piacimento, come pedine. Un abile domatore di felini intellettualoidi e belve distratte. I musicisti erano le conniventi vittime sacrificali, e il più delle volte si giravano altrove per non vedere. Un circo irresponsabile. In fondo erano creativi, non ragionieri. Fuori dal coro vi erano esclusivamente le briciole. Rufus Ralhberger era spesso affaticato. Si diceva per via degli anni e dello stress, degli estenuanti ritmi di lavoro su quello scacchiere. Delle trame, le fatture, lo showbiz. Era provato. Con le forze, perdeva i capelli. Aveva come una strana malattia: l’alopecia del tennista. Così sosteneva. Calvo in testa, e l'avambraccio completamente spoglio, fino al gomito. Non un pelo. Mentre tutto il resto del corpo era attraversato da una fitta radura dalle striature grigiastre. Più si stancava, più rimaneva glabro. Nell'intimità però, era avvezzo a una chirurgica pratica che amava sottoporre a lussuriose signore di mezza età e insospettabili uomini di loggia. Depilava metà braccio, così da far scivolare bene il guanto in lattice cosparso di grasso di foca e unguenti vari. Una volta lubrificato, era più agevole avventurarsi nei meandri di quelle spaventose crepe. Un inferno catartico fra le pieghe gommose di quei corpi rivoltanti. Invasivo affondo nell’adipe. Ventose carnivore, oscenità trasudanti ingordigia. Anfratti remoti che lui ispezionava alla stregua di uno speleologo tignoso. Era un laborioso profanatore di cripte. Il doomsday device del buon gusto. Paraffina e spasmi di carne flaccida. Le dita, poi la mano, quindi un pugno chiuso, il polso, il radio e ancora oltre fino all'epicondilo. Deflagrava dentro loro. Erano le nuove frontiere della perversione e della complicità. Era l'epoca del fisting. Ma per tutti aveva solo la rarissima alopecia del tennista, una patologia inspiegabile che lo affliggeva sin dall'adolescenza. Che sciagura.
LORENZO SPANO' - L'ALOPECIA DEL TENNISTA Il dott. Ralhberger era il manager di diversi artisti che piazzava a piacimento, come pedine. Un abile domatore di felini intellettualoidi e belve distratte. I musicisti erano le conniventi vittime sacrificali, e il più delle volte si giravano altrove per non vedere. Un circo irresponsabile. In fondo erano creativi, non ragionieri. Fuori dal coro vi erano esclusivamente le briciole. Rufus Ralhberger era spesso affaticato. Si diceva per via degli anni e dello stress, degli estenuanti ritmi di lavoro su quello scacchiere. Delle trame, le fatture, lo showbiz. Era provato. Con le forze, perdeva i capelli. Aveva come una strana malattia: l’alopecia del tennista. Così sosteneva. Calvo in testa, e l'avambraccio completamente spoglio, fino al gomito. Non un pelo. Mentre tutto il resto del corpo era attraversato da una fitta radura dalle striature grigiastre. Più si stancava, più rimaneva glabro. Nell'intimità però, era avvezzo a una chirurgica pratica che amava sottoporre a lussuriose signore di mezza età e insospettabili uomini di loggia. Depilava metà braccio, così da far scivolare bene il guanto in lattice cosparso di grasso di foca e unguenti vari. Una volta lubrificato, era più agevole avventurarsi nei meandri di quelle spaventose crepe. Un inferno catartico fra le pieghe gommose di quei corpi rivoltanti. Invasivo affondo nell’adipe. Ventose carnivore, oscenità trasudanti ingordigia. Anfratti remoti che lui ispezionava alla stregua di uno speleologo tignoso. Era un laborioso profanatore di cripte. Il doomsday device del buon gusto. Paraffina e spasmi di carne flaccida. Le dita, poi la mano, quindi un pugno chiuso, il polso, il radio e ancora oltre fino all'epicondilo. Deflagrava dentro loro. Erano le nuove frontiere della perversione e della complicità. Era l'epoca del fisting. Ma per tutti aveva solo la rarissima alopecia del tennista, una patologia inspiegabile che lo affliggeva sin dall'adolescenza. Che sciagura.
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